Macedonia del Nord, esercitazione Nato 'Swift Response 22' (LaPresse) 

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Che cosa cambia per l'Italia dopo il vertice Nato. Parla Mulè

Francesco Dalmazio Casini

Nuovi sistemi antimissile e forze di reazione rapida. “Siamo pronti agli impegni che abbiamo davanti”, dice il sottosegretario alla Difesa. "L'invasione dell'Ucraina ha fatto a pezzi lo spirito della cooperazione internazionale. È l'imperialismo russo a provocare l'espansione dell'occidente"

Il vertice di Madrid restituisce l’immagine di una Nato pronta a un salto di qualità. E se a prendersi la scena è certamente l’accordo sull’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica, anche per l’Italia ci sono novità importanti all’orizzonte. Una su tutte? Il potenziamento dei sistemi antimissile dispiegati sul territorio italiano, come annunciato da Mario Draghi. “Si tratterà di Skyguard, un sistema intercettore che viene schierato a protezione di infrastrutture sensibili e città”, spiega al Foglio il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè. Le nuove batterie – che saranno probabilmente dispiegate ad Aviano – sono già in servizio presso le forze armate italiane e affiancheranno o sostituiranno i sistemi più vetusti come i missili Patriot e Samp-t. Il potenziamento dei sistemi Skyguard - costituiti da lanciatore, unità radar e cannone binato da 35mm - era già previsto nei piani della Difesa, come attestano i documenti sulle importazioni militari del Parlamento per l’anno 2021.

  

 

Un occhio alla sicurezza nazionale, quindi, ma anche uno a quella del fianco est dell'Alleanza. “La forza di intervento rapido della Nato passerà da cinquemila uomini a decine di miglia di unità e su questo Roma è tenuta a fare la sua parte”, spiega Mulè. Sono gli ottomila uomini da tenere in prontezza, in Italia, a cui si aggiungono mille uomini in più, che saranno schierati in Bulgaria e in Ungheria. Da dove vengono questi soldati? “Non verranno distolti da nessuna delle missioni italiane già attive, dato che dopo il ritiro dall’Afghanistan abbiamo la capacità di muovere del personale senza toglierlo a nessuno degli impegni attuali”, risponde il sottosegretario.

 

Non solo uomini, ma anche mezzi e soprattutto logistica: “Questa Very High Readiness Joint Task Force ha la capacità di essere dispiegata in 48 ore e produrre un intervento immediato. Oltre agli uomini saranno messi a disposizione i mezzi di terra e gli aerei necessari”. Uno sforzo organizzativo imponente ma a cui le forze armate italiane sono pronte. Contingenti di queste dimensioni sono già schierati in Libano e, in passato, sono stati schierati anche in Iraq e in Afghanistan. “In questi contesti abbiamo saputo affinare delle capacità che ci consentono di adattarci a tutti i teatri. E’ una cosa che sappiamo fare e sappiamo fare bene”, assicura Mulè.

 

L’Italia conferma il proprio apporto nella sicurezza in est Europa e, di riflesso, anche all’Ucraina. Di oggi la notizia, annunciata dal primo ministro olandese Mark Rutte, che Roma sarebbe pronta a inviare alle forze armate di Kyiv dei pezzi di artiglieria semovente simili “a quelli inviati dalla Germania”. Si potrebbe trattare dei semoventi Panzerhaubitze 2000. Sistemi dello stesso tipo di quelli fermati sull’autostrada tra Salerno e Caserta nei giorni scorsi per irregolarità nei documenti di circolazione e, come riportato dal Mattino, "diretti in Ucraina” – a ben vedere potrebbero essere proprio quelli.

 

Ma a Madrid non si è parlato solo della minaccia russa. Per la prima volta la Nato mette nero su bianco le “sfide sistemiche della Repubblica popolare cinese” e non è un caso che Giappone, Corea del sud e Australia siano sempre più spesso presenti agli appuntamenti dell’Alleanza. Vedremo un impegno dell’Italia nelle aree di frizione con la Cina? È un argomento complesso. Mulè spiega che “per ora si sta sviluppando la dottrina, che indicherà quale postura tenere nei confronti della Cina” e che “al momento dal punto di vista operativo non c’è nulla, ma ribadiamo la nostra disponibilità a prendere parte in questo teatro operativo”.

  

Sul tema, però, il sottosegretario alla Difesa ci tiene a lanciare un monito: “Non vorrei che con la Cina si arrivasse a un nuovo paradosso di Helsinki”. Il riferimento è alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa del 1975, quando i due blocchi della guerra fredda si accordavano per la creazione di quella che poi sarebbe diventata l’Osce, impegnandosi, in un paese neutrale, ad abbassare la tensione. Perché un paradosso? Perché mentre si parlava di distensione e si firmava l'accordo in Svezia - e mentre Washington viveva uno dei suoi momenti di maggiore debolezza dopo le dimissioni di Nixon e la "caduta di Saigon" - cominciava la massima espansione sovietica nel Terzo Mondo, che sarebbe sfociata nell'invasione dell'Afghanistan. Oggi con la guerra di Putin siamo di fronte a un nuovo paradosso, quello che "risiede nell’incapacità, a causa della spinta imperialista ed egemonica della Russia, di poter arrivare a un accordo diplomatico", dice Mulè. "Invece siamo arrivati all’esatto contrario cioè un’espansione della Nato per far fronte a questo atteggiamento dirompente tenuto da Mosca". In altre parole, l’invasione dell’Ucraina ha ridotto in brandelli quello spirito di cooperazione da cui nasceva l'Osce. Ed è significativo che sia proprio Helsinki ora a dismettere la sua neutralità per entrare a pieno titolo nel fronte atlantico. Con Pechino, per lo meno, si spera che rimanga ancora un qualche margine per una convivenza meno ostile.

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