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La ricetta di Verona

La vittoria di chi “non urla”. Parla Giovanni Diamanti, spin doctor di Damiano Tommasi

Marianna Rizzini

Il centrosinistra è riuscito a conquistare Verona perchè il suo era un candidato civico, capace di parlare anche ai "tosiani". Le difficoltà di replicare il modello altrove

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Miracolo o strategia elettorale efficace? Da giorni il Veneto, e Verona in particolare, sono osservati speciali: il centrosinistra ha vinto inaspettatamente nelle terre leghiste per antonomasia, e nella città di Giulietta e Romeo, come ha ammesso il presidente leghista della Regione Luca Zaia, la sconfitta è stata pesante. E’ stato infatti eletto Damiano Tommasi, ex calciatore, ex sindacalista di calciatori e fondatore di una scuola ispirata a Don Milani, con il 53 per cento dei voti e nonostante l’iniziale borbottio anche interno alla coalizione. Il nuovo sindaco, infatti, non è uno che urla, neanche quando viene attaccato, e non è uno che reagisce nel modo in cui ci si aspetterebbe un politico possa reagire di fronte agli avversari (tanto che nei giorni più duri del ballottaggio con Federico Sboarina, il sindaco uscente che, da FdI, non ha voluto apparentarsi con Flavio Tosi, Tommasi ha scelto la linea dell’apparente uscita dalla mischia, con lunghi sopralluoghi quartiere per quartiere, e con toni tranquilli durante i confronti diretti).

 

Quale possa essere la vera ricetta della sua vittoria, e se questa possa rappresentare un’inversione di tendenza, un primo indizio di una certa stanchezza dell’elettorato rispetto agli urlatori, lo si chiede intanto a Giovanni Diamanti, spin-doctor di Tommasi e consulente, dall’agenzia Quorum e dal portale Youtrend, di precedenti campagne elettorali vinte dalla sinistra (tra le altre, quella per Beppe Sala, Dario Nardella e Roberto Gualtieri): “Non c’è una formula precisa”, dice Diamanti, “anche perché in questo caso la ricetta poggia su di lui, Tommasi, candidato atipico e vero fenomeno non so quanto replicabile. La vittoria insomma è proprio sua, e chissà se con un altro candidato lo stesso tipo di campagna avrebbe avuto successo”. Eppure qualcosa a Verona è successo, anche perché non era scontato che Tommasi vincesse.

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“E’ un civico vero”, dice Diamanti, “e in più si è candidato in un momento in cui Verona era sensibile all’idea di un civismo non legato a un singolo partito e a un tipo di comunicazione meno aggressiva. Questo lo ha portato a offrire risposte pragmatiche, e questo ha fatto sì che nell’elettorato crescesse la fiducia in lui, al di là degli steccati. Non per niente inizialmente c’è stata qualche difficoltà a far accettare l’idea che non si dovesse impostare la campagna lungo l’asse di divisione destra-sinistra”. E dunque, mentre a destra si discuteva animatamente per via del mancato apparentamento Sboarina-Tosi (al punto che oggi il governatore Zaia dice: “Evidentemente dove si litiga si parte con il freno a mano tirato”), Tommasi partiva, racconta Diamanti, “per le sue camminate quotidiane alla testa dei volontari in maglietta gialla: dieci chilometri al giorno, zona per zona, lungo un itinerario annunciato, con l’idea di mettersi in ascolto dei bisogni e delle rimostranze dei cittadini”.

 

Una ricerca porta a porta dei cahier de doléances al secondo turno, con sostegno a distanza di vari sindaci progressisti, collegati in video-appello per Tommasi. Simbolicamente, la passeggiata, dice Diamanti, era un “recarsi dai cittadini” per mettere al primo posto dell’azione politica l’avvicinamento a quello che davvero interessa a chi deve scegliere con il voto un amministratore. Altro punto vincente, secondo lo spin doctor, il fatto di non essere sovrapponibile a un certo tipo di sinistra: “Tommasi ha cercato di rassicurare i tosiani ma in generale il centrodestra moderato tradizionale anche riguardo alla questione dei diritti. E’ padre di sei figli, ha fondato una scuola di ispirazione cattolica. Come dire: non c’è motivo di avere paura, sarò il sindaco di tutti”.

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