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Altro che siccità. La vera crisi dell’acqua in Italia è ideologica, nata dalla demagogia del bene comune

Claudio Cerasa

La stragrande maggioranza delle perdite idriche è dovuta alla mancanza di investimenti, e deriva dal fatto che la gestione dell’acqua è spesso nelle mani di piccole municipalizzate o di goffe gestioni comunali. Appunti per il Wwf

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C’è una nuova e reale emergenza che da giorni accompagna le nostre cronache quotidiane e quell’emergenza riguarda un problema generalmente sintetizzato attraverso una parola semplice, apocalittica e definitiva: siccità. La siccità, intesa come una fase storica caratterizzata da una prolungata mancanza d’acqua, è un fenomeno concreto che sta colpendo il nostro paese da molto tempo. In alcune regioni non piove da tre mesi, il livello del Po è arrivato al punto più basso mai raggiunto negli ultimi 70 anni, alcuni grandi laghi registrano minimi storici come grado di riempimento, il governo è a un passo dalla certificazione dello stato di crisi e alcune regioni hanno iniziato a emettere ordinanze per ridurre l’utilizzo dell’acqua potabile nei servizi non indispensabili.

 

Eppure, all’interno di questo guaio enorme, esiste un non detto grande come una casa che meriterebbe di essere esplicitato con chiarezza per provare a rompere un muro di ipocrisia che riguarda la radice reale dell’emergenza in corso. Un muro che nasce da un equivoco storico e culturale in base al quale l’acqua altro non è che un bene comune che merita di essere tenuto il più lontano possibile da ogni logica capitalistica e da ogni tentativo di metterne la gestione all’interno di una mostruosa cornice efficientistica dominata dalla logica del profitto. E così mentre si dedicano drammatiche pagine all’acqua che non arriva dal cielo, e mentre si dedica molto spazio alle sofisticate tesi del fondatore del Wwf Fulco Pratesi che consiglia di lavarsi le ascelle il meno possibile, di farsi la doccia il meno possibile, di cambiarsi le mutande il meno possibile per risparmiare acqua, ci si dimentica di dedicare altrettante pagine all’acqua che manca in Italia per questioni più pragmatiche legate all’inefficienza assoluta dei nostri sistemi di distribuzione idrica.

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I numeri sono impressionanti e sono stati messi insieme dall’Istat alla fine di marzo. La percentuale di perdite idriche totali della rete nazionale di distribuzione dell’acqua potabile è del 42 per cento. E se si stima un consumo giornaliero pro capite di 215 litri le perdite accumulate nell’arco di dodici mesi potrebbero garantire le esigenze idriche di circa 44 milioni di persone in un anno. La stragrande maggioranza delle perdite, come ha ricordato sulle nostre pagine un grande studioso dell’acqua come Giulio Boccaletti, è dovuta alla mancanza di investimenti e gli investimenti in meno sono dovuti al fatto che in Italia la gestione dell’acqua è spesso nelle mani di piccole municipalizzate o di goffe gestioni comunali che non hanno facile accesso ai mercati di capitale o ai fondi europei (la Ue chiede per regolamento gestioni industriali dell’acqua, non politiche) e che necessitano spesso di un contraente privato per accedere al credito.

 

Risultato: l’Italia è piena di piccole reti mal gestite che perdono come colabrodi e i privati che potrebbero investire nelle reti vengono disincentivati dal farlo a causa di demagogiche campagne mediatiche che hanno trasformato l’acqua in un bene comune che essendo tale deve restare alla larga dai privati (il massimo del tafazzismo lo si è raggiunto nel 2011 quando un quesito referendario sull’acqua venne spacciato come un referendum per impedire ai privati di gestire l’acqua pubblica). La siccità, dunque, non è la causa dell’emergenza idrica (secondo i calcoli del ministero per la Transizione ecologica, un quarto delle precipitazioni medie annuali italiane basterebbe a irrigare tutto il comparto agricolo, se solo si fosse in grado di raccogliere con un sistema capillare di invasi l’acqua piovana nelle stagioni invernali), ma è solo la punta di un iceberg di un’Italia che non pianifica, non investe e si blocca al primo problema risolvibile. Non succederà,  ma sarebbe bello se lo scempio dello spreco dell’acqua mobilitasse le coscienze dei cittadini, e dei Fulco Pratesi, almeno quanto il presunto scandalo che qualcuno con una gestione efficiente dell’acqua possa fare profitti. E’ l’anticapitalismo, bellezza.

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