L'incomunicabilità tra i partiti e la crisi del Parlamento. Parla Panebianco
Per il politologo, la democrazia italiana vive "una condizione di frammentazione in cui i partiti su qualunque tema lottano per accaparrarsi un minimo di attenzione dell’opinione pubblica": "Data la paralisi, l’unico modo per forzare il blocco sono i decreti legge"
L’incomunicabilità tra Partito democratico e Lega attorno alla riforma della legge Severino la dice lunga sulla condizione del sistema politico e istituzionale italiano. Entrambi i partiti vogliono la stessa cosa, eliminare la sospensione automatica degli amministratori locali raggiunti da sentenze di primo grado, eppure entrambi preferiscono restare chiusi nelle proprie stanze. Il Pd dice no al referendum abrogativo proposto dalla Lega e poi invita gli altri partiti a sostenere la propria proposta di legge. La Lega, dopo il fallimento del referendum, critica il Pd per non aver sostenuto il referendum e annuncia di voler promuovere proprie iniziative legislative sul tema. Vale per la legge Severino, ma in fondo ormai vale per tutto (e per tutti). L’incapacità delle forze politiche di comunicare fra loro, andando al di là della propaganda, sembra ormai togliere senso alla funzione stessa del Parlamento. “Purtroppo mi pare che non ci sia nulla di nuovo”, commenta al Foglio Angelo Panebianco, politologo dell’università di Bologna. “Essendo fallito il tentativo di dare una forza al governo (la battuta d’arresto finale di questo tentativo è stato il fallimento del referendum costituzionale del 2016) e non essendoci più nemmeno i grandi partiti che in qualche modo nella Prima repubblica controllavano tutto, siamo in una condizione di frammentazione in cui i partiti su qualunque tema lottano per accaparrarsi un minimo di attenzione dell’opinione pubblica”.
Per Panebianco l’Italia rappresenta una democrazia assembleare anziché parlamentare. “La democrazia parlamentare – spiega – è quella britannica, oppure quella tedesca, in cui c’è un governo forte, che ha rapporti con il Parlamento. Noi in sede costituente scegliemmo un governo debole, e da allora non è più cambiato niente. Durante la Prima repubblica tutto questo era attenuato dalla presenza della Democrazia cristiana, che dava stabilità. I governi cambiavano continuamente, ma erano cambiamenti che riguardavano i rapporti di forza tra le fazioni della Dc. Quindi la stabilità di fondo era assicurata nonostante un assetto istituzionale assembleare. Adesso quella situazione non c’è più, l’assetto assembleare è rimasto e c’è una forte frammentazione”.
Da qui il frequente ricorso da parte dei governi ai decreti legge, pratica criticata da presidenti della Repubblica e costituzionalisti, ma di fatto inevitabile all’interno di un contesto istituzionale del genere: “I decreti legge sono un tentativo di aggirare la situazione di frammentazione – dice Panebianco – Anche questa non è una novità. Sono anni che i decreti legge costituiscono l’espediente con cui affrontare il problema dell’esistenza di una democrazia assembleare anziché parlamentare. Data la paralisi totale, l’unico modo per forzare il blocco sono i decreti legge. Dietro ci sono dati strutturali: frammentazione partitica e partiti debolissimi”.
Ben diversa, tanto per citare un esempio, la situazione francese, tornata di attualità negli ultimi giorni. “La lettura che qui si sta facendo di ciò che sta succedendo in Francia è una lettura tutta italiana, che prescinde totalmente dalle differenze istituzionali che ci sono tra il sistema di governo francese rispetto al nostro paese”, dice il politologo. “Se le regole del sistema istituzionale francese venissero trasferite nel nostro paese tutti griderebbero al fascismo. Il governo è molto più forte, anche adesso nonostante le divisioni. Il sistema ha delle garanzie istituzionali, degli ostacoli alla sua parlamentarizzazione. Ostacoli che in Italia non ci sono”, conclude Panebianco.
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