Tiziano Treu (Ansa)

Una sede per due. L'assurdo niet alla coabitazione di Cnel e Aran

Nunzia Penelope

Una struttura unica permetterebbe un risparmio di circa un milione di euro. Ma quello economico non sarebbe l'unico vantaggio: sotto lo stesso tetto potrebbero in prospettiva creare una vera “casa dei contratti”, pubblici e privati. Ma il vicepresidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro Floriano Botta dice di no

Alle polemiche il Cnel è abituato. Lo inseguono dalla nascita, anzi, pure prima: nel 1906, anno dell’avvio della costruzione di Villa Lubin, il progetto venne attaccato perché causava il taglio di alcuni pini secolari di Villa Borghese. Poi, nei decenni, le polemiche si sono susseguite: sui “costi della casta”, sul ruolo di “ente inutile”, fino alla cancellazione manu referendaria decisa da Matteo Renzi. Ma il referendum del 2016 fallì, e il Cnel si salvò. A guidarlo arrivò Tiziano Treu, stimatissimo giuslavorista, già ministro in vari governi, che con pazienza si mise al lavoro per restituire ruolo e dignità all’organismo costituzionale appannato. 

 

Tra le missioni di Treu c’è  anche quella di razionalizzare i costi. Per cui un anno fa prende il telefono e chiama il suo buon conoscente presidente dell’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle pubbliche amministrazioni), Antonio Naddeo, e gli fa una proposta: poiché il Cnel è sovradimensionato rispetto al personale (60 dipendenti, in un palazzo che potrebbe contenerne il doppio)  e lo stesso problema ha l’Aran, che paga un affitto salato per i suoi 40 dipendenti dispersi nei tremila metri quadri della sede in via del Corso, perché non unificare le due strutture? Si risparmierebbero risorse pubbliche per circa un milione di euro all’anno, e non solo: lavorando sotto lo stesso tetto, Cnel e Aran potrebbero in prospettiva creare una vera “casa dei contratti”, pubblici e privati. Naddeo concorda, e si avviano quindi gli studi di fattibilità, dando incarico a due architetti che per ben sei mesi esploreranno ogni problematica. Del resto Villa Lubin è decisamente ampia, è dotata  di strutture moderne, compresa una vasta biblioteca, due Auditorium per convegni, una mensa, saloni di rappresentanza e un numero adeguato di uffici distribuiti sui vari piani nei quali, stabiliscono tutti i sopralluoghi e i controlli di sicurezza, possono lavorare un centinaio di addetti disponendo di circa 10 metri quadri ciascuno.

 

Si procede dunque in questa direzione, si ottengono i via libera necessari, il Demanio, cui fa capo Villa Lubin, si dice disponibile a fare una assegnazione congiunta del palazzo tra Cnel e Aran. Si avvia anche una prima ridefinizione degli spazi interni. La cosa sembra ormai fatta. E invece no. Come primo ostacolo sale il malcontento del personale di Villa Lubin, e anche all’Aran non sono entusiasti di lasciare la centralissima Via del Corso. Ma soprattutto si mette di traverso uno dei due vicepresidenti del Cnel: Floriano Botta, indicato da Confindustria. Botta è un imprenditore del nord, ha un’azienda del settore cartotecnico nata negli anni del boom economico. Ha un lunghissimo curriculum di incarichi confindustriali, in particolare in Assolombarda. Il concetto “Roma = Casta” nei suoi 84 anni di vita Botta l’ha sentito declinare in innumerevoli situazioni, e questa gli pare proprio una di quelle: altro che risparmi, dichiara, qui è la “casta” che aspira a un upgrading nella sfarzosa Villa Lubin. Per cui esprime  il suo voto contrario. Si dirà: un solo voto contrario, quanto può mai pesare. Pesa: come nel consiglio di sicurezza dell’Onu, anche qui vige il diritto di veto. E  il no di Botta è sufficiente a far saltare tutta l’operazione.

Una  scarna lettera firmata dal segretario generale del Cnel nei giorni scorsi informa Naddeo che “vista la netta contrarietà di un componente dell’Ufficio di presidenza, questo segretariato non ha mandato per procedere nel progetto di condivisione degli spazi di Villa Lubin’’. Fine della storia. L’Aran cercherà una nuova sede altrove, il Cnel continuerà a sentire l’eco dei passi nei corridoi semivuoti, il milione di euro di risparmi di denaro pubblico sarà per un’altra volta. Antonio Naddeo che ha rivelato tutta la vicenda nel suo blog, ribadisce: “L’unico motivo per cui abbiamo avviato questa operazione era risparmiare soldi dello stato. Solo buonsenso, nessun desiderio di ‘casta’. Un bene dello stato non è proprietà di un ente, del suo presidente o del suo vice ma, appunto, è dello stato. Che dovrebbe preoccuparsi di gestirlo al meglio”. 
 

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