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Come finirà la disfida balneare che agita il governo?

Marianna Rizzini

Sulla messa a gara delle concessioni balneari si va ancora alla ricerca dell’accordo. Tra bluff partitici e spaccature nel fronte del “no”

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La disfida balneare – nel senso delle concessioni balneari che incombono, inciampo designato, sul ddl Concorrenza – è ancora lì, in attesa di scioglimento: entro martedì, sperano quelli che vorrebbero non si arrivasse alla fiducia; entro i giorni che serviranno, sperano quelli che vorrebbero veder riconosciuto prima di tutto il principio interventista su situazioni non concorrenziali andate alla deriva per molto tempo.

E intanto ieri, da Forza Italia, il capogruppo azzurro alla Camera Paolo Barelli, reduce dallo scambio del giorno prima con il premier Mario Draghi, diceva al Foglio che le soluzioni dovranno essere trovate mettendo sul tavolo alcuni metaforici paletti: “La sentenza del Consiglio di Stato sulla messa a bando, con focus su concessioni scadute o disponibili; la mappatura; il riconoscimento del lavoro fatto da chi ha avviato una determinata attività. Da qui partiamo, e attorno a questi punti si può trovare un accordo”. E ieri anche Matteo Salvini, dalla Lega, si diceva sicuro che l’accordo fosse “a portata di mano” entro maggio e senza fiducia, sotto riconoscimento del mantra “riconoscere un indennizzo per i 30 mila che hanno investito”.

 

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Fatto sta che nulla era parso a portata di mano il giorno prima, giorno cioè del Cdm straordinario e dell’allarme sui possibili rischi per il Pnrr, e nulla era parso così chiaro neanche nel centrodestra, dove, al netto di Giorgia Meloni e del suo Leitmotiv “il governo svende le aziende italiane alle multinazionali”, ieri, giorno di apertura della convention napoletana di Forza Italia, c’era chi ripeteva tra sé e sé (e non solo) le parole del ministro della PA Renato Brunetta: “Certamente non si va alla crisi di governo per una qualche limatura nella parte del decreto o del provvedimento sulla concorrenza legato ai balneari”, definiti comunque “parte importantissima della media e grande imprenditoria”.

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E loro, i balneari? Nei giorni scorsi era sembrato di intravedere una crepa nella posizione che, anche da Lega e FI, era stata descritta come un “no” netto alla riforma (e c’era però chi nel centrodestra aveva assecondato il “no”, un “no” che proveniva da lontano – vedi governo Conte I). Fatto sta che ieri dal sindacato Base Balneare si ribadiva la posizione critica. Interpellata dal Foglio, Base Balneare ribadiva il “no alle aste”, riservandosi un ammorbidimento soltanto in caso di eventuale allungamento dei tempi causa mappatura, ma “scongiurando il rischio di svendere il paese”. Altro punto ricorrente dal lato balneari oltranzisti: “Il Pnrr non c’entra”.

Per la verità questo punto anche da sinistra veniva sollevato. Diceva infatti ieri da LeU Stefano Fassina: “Il ritardo nell’approvazione del ddl Concorrenza al Senato è interamente responsabilità di Palazzo Chigi, poiché ricordo che il testo del ddl approvato dal Consiglio dei ministri, abilitante per le risorse del Pnrr, non includeva le gare, ma soltanto la mappatura delle concessioni balneari”, diceva su La7 il deputato. Non tutto però, nei giorni precedenti, era sembrato monolitico dal lato della conservazione dell’esistente. Aveva infatti stupito la posizione di Antonio Capacchione, presidente del sindacato nazionale Balneari: “Che almeno non si usi la nostra presunta refrattarietà al cambiamento come alibi per l’inconcludenza della politica”, aveva detto a questo giornale, lasciando intendere di sentirsi più tutelato “dal diritto europeo” che non “da chi se ne professa interprete e confutatore, spesso con argomentazioni provinciali”. Come finirà la diatriba? Intanto si scrutano (in controluce) le parole dei leader del centrodestra. 

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