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Teologia vs. politica

Niente guerra di religione

Biden e la citazione sbagliata di Wojtyla

Maurizio Crippa

La giustificazione teologica del potere e della guerra è oggi una caratteristica della Russia "ortodossa" di Putin. In passato lo è stato anche dell'occidente, Ma è meglio evitare di trasformare una guerra in uno "scontro di civiltà"

Che Joe Biden abbia “fatto una gaffe”, o abbia invece fatto un’affermazione logica e dalle conseguenze impegnative dicendo che “Putin non può restare al potere”, è questione variamente interpretabile. C’è però un’altra frase, nel discorso di Varsavia del presidente democratico e progressive catholic, che non è una gaffe: è un errore di citazione. Biden ha ricordato l’inizio, e solo quello, del potente appello alle coscienze che Giovanni Paolo II fece risuonare nella prima omelia del suo pontificato, 22 ottobre 1978: “Non abbiate paura”, ha ripetuto Biden. Legando però il senso di quelle parole alla necessaria resistenza-ribellione contro Vladimir Putin. Ma “non abbiate paura” era per Karol Wojtyla un appello alla conversione di uomini e donne: “Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura!”. Un invito religioso seguito dalle altre celebri parole: “Spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!”.  Citare le prime tre parole, e trasformarle in un messaggio “sul potere – il potere della fede, il potere della resilienza e il potere del popolo”, come ha fatto il presidente americano, più che una forzatura è un’interpretazione errata di quello che per Giovanni Paolo II era il ruolo della religione rispetto alla politica.  E’ ovvio che parole e azioni del Papa polacco furono di sostegno al suo e ad altri popoli, ma Wojtyla non indicò mai una dimensione religiosa per il conflitto politico.

La voce dal sen fuggita di Biden segna il ritorno, non esattamente necessario nel bel mezzo di una guerra già abbastanza religiosamente connotata, della “teologia politica”. Concetto filosofico complesso (ah, la complessità: non l’avevamo bandita?), ma che è stato usato nel Novecento soprattutto per fornire legittimazioni religiose al potere politico e alle guerre. Tornato di moda negli ultimi decenni anche perché, come prevedeva nel 1996 Samuel Huntington, la Guerra fredda sarebbe stata sostituita da nuovi conflitti fondati sulle identità religiose e culturali. Profezia presto avveratasi, diversamente da quella ottimista di Fukuyama. E’ evidente che la “giustificazione religiosa” del potere e della guerra descriva innanzitutto la Russia di Putin, dove le reciproche forzature tra ortodossia e politica hanno condotto a esiti disastrosi.

Putin ha ammantato di toni fideisti la sua volontà imperiale, o come la si voglia definire, cavalcando strumentalmente una “crociata antirelativista” contro i disvalori dell’occidente. Il  suo strenuo alleato ideologico, il patriarca Kirill, si ritiene dal canto suo investito del compito mistico di restaurare il Russkij mir, il mondo russo, e la Santa Rus’ (nella quale l’Ucraina esiste solo in quanto Russia). Opposizioni e rivalità politiche tra nazioni si sono trasformate in un Armageddon. Come ha notato qualche giorno fa anche Antonio Polito sul Corriere, una guerra “nata con giustificazioni geopolitiche (l’espansione della Nato) o etnico-nazionali (la sorte della minoranza russofona)” – per quanto fasulle le si possa considerare – “sta assumendo i caratteri di uno ‘scontro di civiltà’”. C’è, come detto, il fondamentalismo “antirelativista”, aspetto che ha a lungo sedotto (o ancora seduce) le aree antimoderne o tradizionaliste del cristianesimo cattolico ed evangelico (Trump e Steve Bannon), ma c’è anche, e più nel profondo, una “teologia politica” che arriva al problema centrale all’ortodossia. Una fede che – a parte le icone di Rublev e le porte di Florenskij – è stata e rimane la religione del Palazzo imperiale della Seconda Roma.

Mentre il cattolicesimo romano ha fatto i conti da qualche secolo con la questione della giustificazione teologica del potere (almeno dalla Pace di Westfalia), l’ortodossia no. Ha scritto il filosofo Massimo Borghesi (il Sussidiario) che anche in Russia “la fine di settant’anni di ateismo di stato ha aperto, per il cristianesimo ortodosso, un terreno di libertà e di opportunità”. Ma questo avrebbe richiesto, come affermava il grande teologo ortodosso Olivier Clément, “la capacità di vivere la fede in un mondo pluralista. Una capacità che implica un processo di relativizzazione dei modelli storico-religiosi”. L’ortodossia di Mosca ha scelto un’altra strada. E va notato che la chiesa ortodossa ucraina, quanto a connotazione nazionalistica, non è molto diversa; vale anche per la chiesa ucraina fedele a Roma. E di là da una frontiera in pericolo, anche il cattolicesimo polacco non è più quello ecumenico di Wojtyla. Che ci sia poco di ortodosso nella teologia politica di Putin è evidente. Intervistato da Avvenire, l’ex direttore del Giornale del patriarcato di Mosca, Sergei Chapnin – licenziato da Kirill proprio per la sue critiche – ha offerto una lucida sintesi: “Putin è una persona semireligiosa ma certo non un cristiano. Sente il bisogno di un elemento mistico, misterico, forse magico, e soprattutto cerca una conferma sacrale a ciò che sta facendo”. Aumentare questo già tossico tasso teologico non è una grande idea. Anche quando si tratti solo dell’esasperazione di un conflitto valoriale. In questo, la religione progressista di un Biden, losing my religion, non è esente da responsabilità, lo si è visto in altre occasioni e una certa mania per la citazione biblica è comune a presidenti dem e conservatori. Così come un certo messianismo occidentalista del presidente Zelensky, per quanto mediatamente ben costruito, come l’insistenza sul coinvolgimento etico di un’Europa relativista e neghittosa, radicalizzano la dimensione di “scontro di civiltà”.

Se si torna a Wojtyla, evitò sempre di dare giustificazioni ai conflitti. Anzi il suo sogno irrealizzato fu quello di una Europa spiritualmente unita “dall’Atlantico agli Urali” sotto il doppio patrocinio di Benedetto e Cirillo e Metodio, che volle copatroni d’Europa. Il sogno non si è avverato. Il suo successore Joseph Ratzinger ha insegnato tutta la vita a relativizzare in senso illuministico la politica, anche proprio per depotenziare i conflitti di natura religiosa che ha incontrato nel suo pontificato. Ora che si è tornati a discutere di guerra giusta, si prova a misurare ogni centimetro di scostamento di Francesco. Che la guerra giusta faccia parte del catechismo, è risaputo. Compresa la fornitura degli strumenti per difendersi. Ma togliere ogni giustificazione alla guerra è parte del messaggio della Chiesa. Quando lascia intendere che è necessario dare armi all’Ucraina (il “triste ricorso alle armi” di Parolin) fa il suo. Ma vendere agli yemeniti affinché tirino missili sul Gp di Formula 1, può evidentemente essere giudicato una follia. La teologia e la politica hanno i loro confini.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"