Nel bunker a Centocelle

La second life di Figliuolo: dal Covid al Covi. Con un libro in mezzo

Fra presentazioni all' Auditorium e missioni Ungheria l'uomo scelto da Draghi è pronto a una nuova vita

Marianna Rizzini

Il 31 marzo il generale termina l'esperienza di commissario per l'emergenza coronavirus e va a guidare il comitato interforze. Nel frattempo ha scritto un libro con Severgnini

L’indizio sta nella stella, temporanea, visibile sull’inseparabile divisa accanto alle altre stelle e mostrine che hanno reso celebre il personaggio. Si dà infatti il caso che il generale Francesco Paolo Figliuolo, già commissario straordinario per l’emergenza Covid – noto anche, oltre che per i meriti logistici, per il cappello da alpino e i distintivi caratteristici dell’alto grado militare – si aggiri in questi giorni con una stella in più. Quella funzionale che contraddistingue il ruolo, alto e gravoso quanto e più di quello che lascerà il 31 marzo, giorno ultimo di emergenza pandemica: comandante del Comando operativo di vertice interforze (Covi), un riconoscimento “per il suo percorso professionale di assoluto valore”, ha detto il giorno dell’insediamento, due mesi fa, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, presso l’aeroporto militare di Centocelle, mentre i cittadini si sentivano ancora lontani dalla fine dell’emergenza ora vicinissima, e dunque apprendevano con probabile sollievo che il generale Figliuolo avrebbe per altri sessanta giorni coordinato la campagna vaccinale (ogni volta che si entrava in una delle strutture adibite alla somministrazione, infatti, veniva da lodare tra sé e sé il commissario, vuoi per la velocità vuoi per il nitore svizzero dei prefabbricati e della segnaletica).

 

E insomma, poco c’è mancato che a Figliuolo venissero per osmosi attribuiti poteri taumaturgici, e meno male che l’umanizzazione del personaggio è avvenuta con la discesa – si fa per dire – nell’arena dei comuni mortali che presentano libri. Il suo – “Un italiano”, scritto a quattro mani con l’editorialista del Corriere della Sera Beppe Severgnini, edito da Rizzoli e uscito all’inizio di marzo – soltanto nel titolo può richiamare alla mente la nota canzone di Toto Cutugno. Trattasi invece di excursus nel passato di un “ragazzo meridionale di periferia” che diventa alpino essendo di Potenza, quindi “già un po’ montanaro”, e che poi si laurea più volte, e più volte ricopre incarichi militarmente rilevanti, dal Kosovo all’Afghanistan, passando per l’Accademia di Modena.

E, come tutti i mortali che presentino libri, a Figliuolo tocca ora andarlo a presentare, il suo, e in queste occasioni – solo in queste – dismette la divisa, le stelle e le mostrine, e il cappello con la penna, anche se non senza disappunto. E va negli auditorium, il generale, per esempio all’Auditorium di Roma, dove si è recato durante “LibriCome”, un paio di settimane fa, ed è lo stesso Figliuolo che prima vedevamo in conferenza stampa e in trio con il ministro della Salute Roberto Speranza e con il pilastro del Cts professor Franco Locatelli. E però qualche giorno dopo si è recato in Ungheria, Figliuolo, come comandante Covi, sul fronte Nato orientale – lì con divisa mimetica, tra i reparti. E se fino a poco tempo fa, per favorire la fase di passaggio tra un incarico e l’altro, faceva la spola tra Palazzo Baracchini, sede della Difesa, e Centocelle, presso la cittadella militare del Covi, ora a Centocelle il generale scende letteralmente nel cosiddetto bunker, una sala operativa sotterranea da cui può seguire in tempo reale le più delicate questioni, Ucraina in testa, e le più delicate missioni, tra schermi e mappe interattive che neanche in “Guerre stellari”, per non dire dei briefing Nato quotidiani a cui Figliuolo partecipa, con il pensiero un giorno alla Romania e un giorno alla Lettonia.

 

C’è un problema segnalato da questo o quel capo di missione? Lui, Figliuolo, lo risolve. Non dorme lì dentro, come a volte è capitato, raccontano gli insider, al predecessore generale Luciano Portolano, ma se non è in viaggio è lì che trascorre ore caotiche, in collegamento con tutto il mondo. Ma con il cuore all’anno appena trascorso: “Se avrò dei nipotini, magari un giorno leggeranno cos’ha fatto il nonno”, ha detto presentando il libro all’Auditorium.
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.