Borrè, prof. di diritto grillino

Luciano Capone

Chi è l’avvocato che costringe i grillini a rispettare le loro stesse regole. Anche i giureconsulti e i principi del foro come Conte soccombono perché qui non è questione di diritto civile, ma di diritto grillino. E Borrè è l'autorità in materia

Tutte le volte che manda in crisi, anche di nervi, il M5s dicono che ha vinto per un cavillo. E lui, ogni volta, risponde che “Non è un cavillo, è una questione sostanziale”. Lorenzo Borrè, l’avvocato che ha fatto decadere da cavillo Giuseppe Conte e tutte le cariche del M5s, è la bestia nera del movimento da quanto a guidarlo erano Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

 

Si sono avvicendati i leader, sono state sostituite le piattaforme per votare e sono cambiate le regole, ma Borrè è sempre lì. Uno dei pochi punti fissi insieme a Grillo. Solo che se l’Elevato è il Garante, l’avvocato è una specie di anti-Garante. O meglio, è il garante dei reietti e degli espulsi. In un certo senso è il Movimento del passato che fa causa nei tribunali di tutta Italia al Movimento del presente chiedendo una cosa molto semplice: il rispetto delle regole che il M5s si è dato.

 

Tutto è cominciato quando Borrè, ex attivista deluso, dopo essersi allontanato ai primi accenni di deriva partitocratica e oligarchica del M5s, si è messo a difendere i militanti espulsi arbitrariamente in giro per l’Italia da Grillo e Casaleggio. I dioscuri ritenevano di essere i padroni del M5s, ma hanno iniziato a inanellare una serie di sconfitte nei tribunali italiani, da Napoli a Roma, che sono costate a Grillo decine di migliaia d’euro di risarcimenti e spese legali (pagati quasi sempre dall’Associazione Rousseau gestita da Casaleggio e finanziata dai tributi dei parlamentari). Nel 2016 a Roma Borrè ha difeso con successo tre grillini cacciati con procedura irregolare, lo stesso anno a Napoli ha difeso altri 23 militanti, l’anno successivo ha difeso a Genova Marika Cassimatis dopo che Grillo aveva annullato le “comunarie” sul blog. Più recentemente ha vinto una causa a Palermo dove il tribunale ha dichiarato illegittime le espulsioni di alcuni ex parlamentari.

 

La vittoria più clamorosa, prima di questa che ha fatto decadere Conte, è stata lo scorso anno: quando il M5s si è trovato all’improvviso senza un rappresentante legale. Partendo da una causa in cui difendeva in Sardegna la consigliera regionale Carla Cuccu, espulsa dall’allora capo politico reggente Vito Crimi, Borré riuscì a far collassare tutte le cariche del M5s perché i vertici avevano combinato un pasticcio nel passaggio dal vecchio al nuovo statuto. Così, senza che nessuno capisse bene il perché, il M5s si ritrovò ad avere come rappresentante legale un curatore nominato dal tribunale di Cagliari. Una crisi senza precedenti nella storia repubblicana che è durata svariati mesi, prima che Conte, impelagato al contempo nel contenzioso con Casaleggio, riuscisse a riprendere il controllo del partito. E ora che l’Avvocato del popolo si era finalmente messo in sella è stato disarcionato dall’Avvocato degli espulsi.

 

Il rapporto di Borrè con i vertici del M5s è cambiato molto nel tempo. I dirigenti del M5s hanno imparato loro malgrado a rispettarlo. E’ memorabile l’episodio di tre pezzi grossi del M5s come Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Giancarlo Cancelleri che nel 2017, dopo aver etichettato come un atto da “azzeccagarbugli” un ricorso di Borrè a difesa di attivisti siciliani espulsi, furono costretti a pubblicare sui social un messaggio fotocopia di scuse: “La competenza professionale di chi ha redatto il ricorso per le regionarie siciliane è fuor di discussione”. Qualcosa di analogo è accaduto al sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano che l’aveva definito “avvocato senza scrupoli” e, dopo due anni, probabilmente sotto pressione di un’azione giudiziaria, ha chiesto scusa: “Riconosco che le critiche rivolte all’avv. Lorenzo Borrè sono frutto di un errore di esternazione, non avendo mai inteso mettere in discussione la sua rettitudine professionale”.

 

Il problema è che tutti lo sottovalutano. Tutti i vari avvocati che si avvicendano – ora Conte ha schierato professori universitari, prìncipi del foro e notai – sono convinti di risolvere facilmente la questione. Grillo, che invece si è scottato varie volte, ci va con i piedi di piombo. Perché in realtà questi saranno esperti di diritto civile, ma qui è un’altra partita: si tratta di diritto grillino. E Borrè è il massimo esperto in materia: è probabilmente l’unico che conosce la stratificazione di statuti, non-statuti, regolamenti, codici etici e delibere. Ormai i suoi ricorsi hanno fatto giurisprudenza. E non è un caso che venga invitato in convegni a parlare della questione insieme a costituzionalisti come Valerio Onida e Sabino Cassese, che ascoltano attenti la descrizione di questo unicum giuridico-politico.

 

Borrè rappresenta la nemesi di un partito nato gassoso, senza organigrammi, e ora sclerotizzato dalla burocrazia: un “movimento” che è completamente immobile. Impigliato nella selva di statuti da cui non riesce a districarsi neppure quando a guidarli è un giurista come Conte, costretto da Borrè a dire: “La mia leadership non dipende dalle carte bollate”

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali