L'editoriale

Movimento 5 Meloni, la deriva populista che FdI può evitare

Claudio Cerasa

Abbandonare la grammatica politica anticasta adottata dopo la sconfitta quirinalizia e provare a diventare l’interprete del partito del pil: la sfida per Fratelli d’Italia e la sua leader è tutta qui

In democrazia, avere un’opposizione è sempre meglio che non averla e in un certo senso gli italiani dovrebbero essere grati a Giorgia Meloni per aver contribuito a tutelare un sistema politico all’interno del quale sarebbe apparso quantomeno improprio avere un Parlamento interamente schierato, come un sol uomo, con la maggioranza di governo.

 

La scelta di Meloni di stare all’opposizione di un governo di larghe intese, pur avvenendo in un momento eccezionale del paese, è dunque una scelta che non può essere automaticamente inserita nella facile casellina dello sfascismo, anche se la tentazione è ovviamente forte, e in fondo la settimana di trattative quirinalizie ha proiettato il partito di Giorgia Meloni in una dimensione molto diversa rispetto alla stagione immediatamente precedente alle elezioni amministrative, quando il Pd (erano i tempi di Fidanza, di Fanpage, dei saluti romani, delle accuse di collaborazionismo con i peggio fasci d’Italia) arrivò a dire che Fratelli d’Italia era un partito destinato a finire “fuori dall’arco repubblicano” (Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd, 11 ottobre 2021).

 

Pochi mesi dopo, invece, Fratelli d’Italia, almeno nelle trattative per il Quirinale, è diventato, per i suoi avversari, un partito come gli altri. Un partito con cui litigare, certo, ma con cui dialogare, con cui trattare, con cui provare a eleggere persino la carica istituzionale più importante del paese, il capo dello stato. Per i nemici di Giorgia Meloni, dunque, provare a combattere Fratelli d’Italia utilizzando l’arma dell’impresentabilità postfascista potrebbe non essere semplice e il partito di Meloni è verosimile che capitalizzi qualcosa di importante nei prossimi mesi traendo vantaggio da una posizione tutto sommato semplice: stare all’opposizione e trovare una buona scusa per dire no, anche giocando con le paure degli italiani.

 

Quello che però qui ci interessa mettere a fuoco non è il posizionamento di Meloni rispetto alla maggioranza di governo ma è provare a fare un piccolo bilancio di ciò che negli ultimi mesi ha portato a casa l’unico leader del centrodestra in grado di smuovere a suo favore i sondaggi. E se si mettono insieme i puntini si avrà la netta impressione che i primi mesi da leader del centrodestra, per Meloni, non sono stati esattamente un successo.

 

Mettiamo per un attimo da parte, se vogliamo, i risultati non esattamente soddisfacenti, lo diciamo con un sorriso, ottenuti alle ultime amministrative, dove le scelte della premiata ditta Meloni-Salvini hanno prodotto la bellezza di tre candidati da leccarsi i baffi come Enrico Michetti (che comunque ha ottenuto un voto per il Quirinale, come Amadeus), Luca Bernardo (bum bum) e Catello Maresca (che, a proposito di carriere da separare, al momento svolge contemporaneamente il ruolo di capo dell’opposizione in Consiglio comunale a Napoli, per il centrodestra, e di giudice di Corte d’appello a Campobasso) e concentriamoci sullo stato attuale delle cose.

 

Domanda numero uno: cosa voleva fare Giorgia Meloni durante la partita quirinalizia? Risposta: voleva avere voce in capitolo sul nuovo capo dello stato. E per fare cosa? Per poter contare. E per ottenere cosa? Un capo dello stato, come Draghi, in grado eventualmente di essere un buon garante nel futuro, nel caso in cui le prossime elezioni dovessero consegnare a Meloni una vittoria. Ha ottenuto qualcosa Meloni? Nulla. Esce più forte dalla partita quirinalizia? Apparentemente sì: è all’opposizione e può lucrare da quella posizione. Sostanzialmente no: scopre che il centrodestra (FI e Lega) dovendo scegliere tra un patto solido con il centrosinistra e uno solido con tutto il centrodestra ha scelto la prima soluzione e scopre che la Lega (e FI) pur di mettere in difficoltà Meloni è disposta anche a rimangiarsi tutto quello che ha detto finora sul tema proporzionale (dividersi e pesarsi, perché no?).

 

Il punto vero però, per Fratelli d’Italia, non è essere un partito accerchiato, qualcuno direbbe isolato, ma è quello di affrontare l’anno che verrà da una doppia posizione di debolezza. Tema numero uno: per un partito in cerca di legittimazione, non solo popolare, essere percepito come un partito anti Draghi è un bene o un male? Probabilmente Meloni pensa sia un male, ragione per cui ha fatto il possibile per provare a spedire Draghi al Quirinale. Oltretutto, essere contro Draghi, e la sua agenda, nell’anno dell’uscita dalla pandemia, della messa a terra del Pnrr, della raccolta dei frutti derivanti dalla crescita, potrebbe essere complicato, se non proibitivo, e se il centrodestra avesse un partito (Lega più FI) in grado di capitalizzare, senza subire, la sua appartenenza al governo Draghi, la strada della crescita del partito di Meloni sarebbe resa più che mai difficile dallo scontro di Fratelli d’Italia con un nemico chiamato realtà. Il secondo tema interessante da mettere a fuoco è quello che riguarda una dinamica imboccata da Meloni all’indomani della sua sconfitta quirinalizia. E quella dinamica riguarda l’adozione, da parte di Fratelli d’Italia, che pure ha ascoltato con rispetto il discorso di insediamento di Mattarella, di una grammatica politica interamente ispirata alla dottrina anticasta.

 

E così il Parlamento ha scelto Mattarella per salvare le poltrone, per non andare a casa, per proteggere i propri stipendi e i propri privilegi. Il paradosso di fronte al quale si trova oggi Meloni, il leader politico più coccolato dai giornali stranieri, ah questi poteri forti, è che l’unico partito che in questa legislatura non ha governato con il M5s rischia di concludere la legislatura mettendo in atto un processo inarrestabile di grillizzazione politica. Carlo Nordio, il candidato su cui ha puntato Fratelli d’Italia all’ultima votazione quirinalizia, qualche giorno fa al Foglio, ragionando sul futuro della politica, ha detto che “Mattarella al Quirinale e Draghi al governo sono la migliore soluzione che ci potesse capitare”.

 

La sfida di Fratelli d’Italia, in fondo, oggi è tutta qui: resistere alla tentazione di costruire, attorno a sé, un movimento 5 Meloni, provando a spostare la propria traiettoria lontano dalla grammatica anticasta e provando a diventare quello che nessun leader di centrodestra sembra essere in grado di fare: l’interprete naturale del partito del pil, un partito che di fronte a Draghi e Mattarella chiede non una terza dose di populismo ma un sano booster di riformismo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.