dopo il quirinale

Il Pd di Letta cambia casacca

Luciano Capone

Dopo la rielezione di Mattarella il segretario dem e il suo vice Provenzano hanno lanciato una campagna contro il "trasformismo parlamentare". Ma ci sono tre ragioni per cui la retorica paragrillina del Partito democratico è poco credibile

Subito dopo la figuraccia fatta dai partiti durante la (ri)elezione del Presidente della Repubblica, il Pd ha annunciato la svolta per rigenerare la politica: “Mi sento di dire che una delle conseguenze è che siamo vicini a trovare la possibilità di approvare la riforma dei regolamenti parlamentari che limitino il trasformismo parlamentare”, è stata una delle prime dichiarazioni del segretario Enrico Letta. La stessa dichiarazione è stata ripetuta, come un mantra, anche nei giorni successivi: “La politica ha davanti un anno per riformarsi, a cominciare dai cambi di casacca”, ha detto sempre Letta a “Mazz’ora in più” commentando la rielezione di Sergio Mattarella. E ieri gli ha fatto eco il suo vice, Peppe Provenzano, che interrogato da Repubblica sul brutto balletto dei partiti sul Quirinale ha risposto: “Servono nuovi regolamenti parlamentari, per scoraggiare il trasformismo dilagante, una legge sui partiti per attuare l’art. 49 della Costituzione e la modifica del sistema elettorale. E’ in gioco il buon funzionamento della democrazia”.

 

E così la lotta ai “cambi di casacca”, un pezzo storico dell’armamentario retorico del M5s, diventa una bandiera del Pd. In Italia esiste sicuramente un problema di trasmigrazione di eletti da un partito all’altro, evidentemente facilitata da regolamenti parlamentari troppo laschi, ma non si capisce cosa c’entri il tema in questa vicenda per almeno tre ordini di motivi. Il primo è che, mai come in questo caso, il fallimento nelle trattative per la scelta del Capo dello stato è integralmente responsabilità dei leader di partito. I singoli parlamentari non hanno “sabotato” alcuna trattativa né condotto l’assemblea in una situazione di stallo, semmai è accaduto l’esatto contrario: un pezzo consistente dei grandi elettori, in gran parte composto da cosiddetti “peones”, trasformisti e parlamentari migratori, ha progressivamente imposto dal basso la rielezione di Mattarella trovando una soluzione all’impasse prodotta dall’insipienza dei vari capi partito.

 

Il secondo motivo è che, quando si parla di trasformismo, più che ai “cambi di casacca” dei singoli parlamentari bisognerebbe guardare a quelli dei partiti. In questa legislatura abbiamo visto di tutto: governi nati da alleanze negate prima delle elezioni (M5s e Lega con il Conte I), da fenomeni di scambismo acrobatico (il Pd e Leu subentrano alla Lega come alleati del M5s nel Conte II) e ammucchiate di unità nazionale (M5s, Lega, Pd, FI, Iv, Leu e mezzo gruppo misto con Draghi). Quasi tutte le forze politiche nel giro di pochi anni hanno fatto e disfatto le alleanze, passando da nemici giurati a buoni alleati nel giro di pochi giorni, da ritenersi reciprocamente una minaccia per la democrazia a buoni compagni di governo. Com’è possibile, con queste strambate continue dei partiti e dei gruppi parlamentari, accusare i singoli eletti di trasformismo? Chi è stato più fedele al mandato elettorale, il capo partito che ha stretto alleanze un po’ con tutti o il parlamentare che ha scelto altrimenti? Come si fa a stabilire se è stato l’uno o l’altro ad agire per convenienza o per convinzione?

 

Infine c’è un tema di coerenza nel comportamento. Se il Pd è contrario ai “cambi di casacca” potrebbe semplicemente non favorirli, e invece durante la legislatura ha accolto diversi parlamentari eletti sotto altre insegne. Ma non basta. Il Pd, come partito, si è reso protagonista della più imbarazzante operazione di trasformismo della legislatura. Ha favorito la nascita del gruppo parlamentare “Europeisti-Maie-Centro Democratico” il cui scopo era quello di raccattare i disponibili di tutti i partiti per tenere in vita il governo Conte e, allo scopo, fornì con una specie di prestito con diritto di riscatto la senatrice Tatjana Rojc, necessaria a raggiungere il numero legale. Quando l’operazione degli “europeisti per Conte” si è rivelata un flop e il gruppo si è sciolto, la Rojc ha concluso il prestito e Letta le ha rimesso la casacca del Pd. Che senso ha quindi questa campagna? E con quale credibilità il Pd la porta avanti?

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali