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Potrebbe andare peggio? Sì. Con Fedez presidente

L'elezione diretta, cattiva idea

Maurizio Crippa

Lo spettacolo del Parlamento nel caos e senza idee per l'elezione del capo dello Stato. Ma, riforme a parte, senza una classe politica credibile, senza più un sistema dei partiti forte, e con un'opinione pubblica a tendenza populista, il "presidente eletto dal popolo" sarebbe anche peggio

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Milano. “Non ho un nome preferito per il Quirinale, ma un augurio: che si faccia presto”. Per una volta non è un opinionista da talk e nemmeno un grande elettore. E’ Claudio Baglioni, al Corriere. Perché nel paese di tutti quirinalisti uno vale uno, e la lagna “fate presto” (ma l’unica richiesta seria sarebbe: trattate davvero) con  retrogusto populista è sempre dietro l’angolo.

Tema: poteva andare peggio di così? Non che in passato l’elezione del presidente della Repubblica sia sempre andata liscia: Leone uscì alle 23esima votazione. Ma è evidente il clima a tratti così surreale, personalistico e dilettantesco, mentre il paese balla sul Titanic. Del resto quel politico di gran razza di Rino Formica, prima che iniziassero le danze, aveva scattato la fotografia. “Per la prima volta un Parlamento decomposto dovrà produrre un composto. Non ho mai visto una situazione più terremotata di adesso”.

Dunque avanti con gli appelli “mai più”? Baglioni serve a dire che il tema di un sistema (in generale) che non funziona più, non rispetta i cittadini è molto diffuso. Poi si può addentarsi meglio nella politica. Ad esempio, ricordando che si era partiti con il macro-tema del “semipresidenzialismo di fatto”. Invocandolo un po’ a capoccia, à la varesotta,  oppure paventandolo manco fosse un golpe. Poi un mese di casino e una settimana di ludibrio della

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Politica In Senso Alto hanno dimostrato che il presidenzialismo di fatto al momento non esiste, neppure come ipotesi, nel nostro pantano parlamentarista. Poi la settimana della passione, e a un certo punto ecco riemergere, magari persino da parte di uno dei pochi a capire di politica, Matteo Renzi, il grande tema: “Questa sia l’ultima volta che si elegge un presidente della Repubblica in questo modo. Bisogna andare al presidenzialismo o semipresidenzialismo cioè l’elezione diretta dei cittadini. E questo pone il tema delle riforme costituzionali”. Giovedì un altro tweet: “L’indecoroso show di chi ha scambiato l’elezione del presidente della Repubblica con le audizioni di X Factor dimostra una sola cosa: bisogna far scegliere il presidente direttamente ai cittadini. Stanno ridicolizzando il momento più alto della democrazia parlamentare”.

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Tanto da venirsi a trovare, paradossalmente, sul terreno più caro a Giorgia Meloni, che denunciando “lo stallo al quale si sta assistendo in questi giorni”, dice: “Mi auguro che questo sia l’ultimo anno dove si elegge il capo dello stato attraverso il Parlamento e non con il voto espresso dai cittadini”. Niente di male, qualche sussulto per il presidenzialismo diretto (anche se in realtà l’impalcatura della grande riforma di Renzi non era presidenzialista) c’è anche in Forza Italia e secondo sondaggi stabili l’idea piace a oltre la metà degli italiani.

Il punto è un altro. Renzi, che come twitta Gianfranco Rotondi, che Berlusconi presidente a parte è uno che la politica la vede, “sta facendo il segretario del Pd e ad interim il leader del centrodestra”. Insomma dà le idee in un ruolo di supplenza. Ma stavolta forse trascura un problema, come a volte gli è capitato quando gli slitta un po’ la frizione populista. Ed è che se oggi si eleggesse direttamente a suffragio universale il presidente della Repubblica, probabilmente dalle insalatiere popolari (populiste?) uscirebbe il nome di Fedez. Battute a parte: prima di dire “peggio di così non può andare” bisogna ricordarsi di una deriva di autorevolezza della politica cominciata oltre trent’anni fa.

Quando il presidenzialismo lo chiedeva Pannella, ma all’interno di un quadro persino vagamente bipolare e con i partiti che in qualche modo ancorano delimitavano recinti di consensi. Oggi i partiti sono ridotti quasi al nulla e l’opinione pubblica ondeggia al soffio dei social. L’esempio del populismo italiano (2012-2022) dovrebbe bastare. Ma ci sono esempi persino più radicali, il populismo di Trump, quello britannico. Paesi dove pure il sistema di creazione del consenso dei partiti è ancora forte, più che in Italia. L’ultimo partito ancora di Dna novecentesco e teoricamente in grado di costruire percorsi presidenziabili, il Pd, è anche il partito il cui penultimo segretario se ne andò dicendone: “Mi vergogno”.

Per salire la scala verso il presidenzialismo diretto, verso l’elezione che farebbe dire “mai più così”, occorrono tanti di quei pioli che spaventano. Riforma costituzionale, riforma di Parlamento e governo, riforma elettorale, e soprattutto partiti in grado di guidare con credibilità l’elettorato. Di tutto questo, finora s’è visto solo uno sgangherato taglio dei parlamentari, assai populista, che tra l’altro ha prodotto le attuali fibrillazioni dei peones che rendono ancor più ingovernabile il passaggio del Quirinale. Poteva andare peggio di una elezione che, per Rino Formica, ricorda addirittura il 1992? Sì, poteva. Se ci fosse stata l’elezione diretta, saremmo qui a tifare Claudio Baglioni pur di non avere Fedez.

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