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Speaker-ponte

L’ultima evoluzione (mimetica) di Roberto Fico, tra schede e linee Pd-M5s

Ex dissidente (ma afono) della linea Di Maio, ora con Di Maio divide il destino di cinque stelle che si adatta chiedendo scusa

Marianna Rizzini

Da fondatore di meet-up in quel di Napoli a "terzo scranno" istituzionale (quello da cui leggerà i nomi dei votati per il Quirinale). In buoni rapporti con il Pd, in bilico tra l'essere arbitro e l'essere partigiano

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Chi l’avrebbe mai detto, nel lontano 2013? Chi l’avrebbe mai detto che Roberto Fico – allora neodeputato a Cinque stelle post tsunami tour nonché fondatore del primo meet-up napoletano – sarebbe diventato il simbolo del grillismo che, assalito dalla realtà, trova la via per così dire darwiniana di adattamento? Ed eccolo, il presidente della Camera Roberto Fico, per partire dalla fine, che si prepara a procedere, da lunedì, nella veste di speaker che legge i nomi di coloro che escono dall’urna quirinalizia con o senza certezze; ed eccolo che incede per vie e piazze e funerali (quello di David Sassoli, suo caro amico, ha detto nel salotto tv di Lucia Annunziata) in mezzo agli uomini della scorta e con abito scuro di taglio sartoriale, non più modello Oviesse.

 

Eccolo, Fico, che dopo un incontro definito istituzionale con il premier quirinabile Mario Draghi, giorni fa, fa intendere ai cronisti che da qualche parte, nel M5s (la sua parte, s’immagina) non si chiude all’idea di vedere il presidente del Consiglio sul Colle. E da un lato pare una profezia che si avvera, Roberto Fico, colui che della “linea Di Maio”, quando Di Maio era al vertice dei Cinque Stelle, figurava dissidente, ma dissidente afono, da quanto la sua contrarietà appariva felpata (per esempio alla festa a Cinque stelle di Rimini). Ed ecco che oggi Fico, per eterogenesi dei fini, appare gemello diverso di Di Maio nel trovarsi a metà tra questi e quelli (tra Pd e Cinque Stelle, e ancora tra governo Draghi e movimentismo) e nell’aver appunto darwinianamente affinato l’arte di scusarsi, proprio come Di Maio.

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Se il ministro degli Esteri, infatti, si rinnova nell’epoca post-casaleggiana come colui che si scusa per gli eccessi di giustizialismo, il presidente della Camera, che è stato presidente della Vigilanza, si scusa per gli errori sulla Rai (lottizzazione compresa, al grido di “anche i Cinque Stelle hanno sbagliato”). E pensare che allora, ai tempi della Vigilanza, Maurizio Gasparri, dal centrodestra, lo definiva “vigilante dormiente”.

 

Ma ora i tempi sono cambiati, e sono maturi per l’ulteriore evoluzione del Roberto Fico che già all’inizio della legislatura, sotto il governo sovranista e populista gialloverde, veniva visto come futuro pontiere tra Cinque stelle e Pd, da quanto venivano date per certe e cordiali le sue conversazioni con Graziano del Rio e Maurizio Martina e da quanto venivano considerati solidi i buoni rapporti con Dario Franceschini – tanto che ora in pochi si stupiscono nel vedere Fico – ex “rifondarolo”, ex (per poco) bassoliniano, ex studente del Liceo Umberto I di Napoli, ex laureato in Scienze della Comunicazione con tesi sui neomelodici, ex quadro in un’azienda turistica – assiso sul terzo scranno istituzionale, quello da cui si è alzato un anno fa per recarsi da Sergio Mattarella a ricevere il mandato esplorativo post crisi del governo rossogiallo.

 

E adesso, a parte suggerire la soluzione al problema del lazzaretto per i parlamentari positivi (come votano e dove: infine in un parcheggio), Fico si trova lungo la linea di confine tra l’essere arbitro e l’essere partigiano di soluzioni non necessariamente contiane e non del tutto lettiane. Mai e poi mai si è visto, in questi anni, il presidente della Camera, alzare la testa come gli ex compagni ribelli alla Barbara Lezzi o alla Nicola Morra, e sempre lo si è visto invece dalla parte del progressismo dei diritti che lo poneva in antitesi non soltanto con il sovranismo-populismo ma con il conservatorismo trasversale (vedi ius soli, eutanasia, matrimonio e adozione per le coppie dello stesso sesso). Dove c’era un diritto da difendere, Fico sommessamente si ergeva. E anche se prima aveva la monovolume e ora si muove in istituzionalissima e nera jeep, la sostanza non cambia: l’uomo che leggerà i nomi sulle schede sta seguendo il destino di chi, nei Cinque stelle, ha cambiato pelle senza neanche un graffio. 
 

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