Sulla tassonomia Draghi decide di non opporsi all'Ue

Valerio Valentini

Entro venerdì l'Italia dovrebbe mandare a Bruxelles le sue osservazioni sulle direttive enrgetiche. Ma Cingolani e Franco frenano le richieste e la propaganda di Letta e Conte. Salvini scalpita. E il premier, alla vigilia della sfida per il Quirinale, pensa a evitare grane: "Non possiamo che essere neutrali". La via stretta sul gas, la diplomazia con la Francia sul nucleare.

A vederla con gli occhi di Mario Draghi, la strada è obbligata. Perché, come il premier si è ritrovato a convenire col suo fidato ministro Roberto Cingolani, e come poi i tecnici del Mite hanno provato a spiegare ai vari referenti politici di questa scomposta trattativa, “sulla tassonomia green non potremo che dirci neutrali”. E però, siccome Enrico Letta e Giuseppe Conte hanno preferito la via della propaganda a quella della politica, e siccome l’incombenza della sfida quirinalizia suggerisce cautela anche a chi aveva fatto del decisionismo la cifra  del suo essere premier, ecco che anche la soluzione scontata va sottaciuta. Per cui il governo, alla vigilia del confronto europeo sulle nuove direttive energetiche, indeciso su cosa decidere, sta pensando di non decidere affatto. 

Più che ignavia, realismo. Dettato peraltro dalla conoscenza del dossier. Perché le opposizioni che i vari governi dovranno inviare a Bruxelles entro venerdì prossimo non saranno in alcun modo vincolanti: e al decreto definitivo che la Commissione diramerà a fine mese ci si potrà opporre, in Consiglio europeo, solo tramite una improbabile maggioranza qualificata. E dunque, perché tanto clamore? D’altronde, a dar retta alle contrapposte fumisterie dei partiti, ci sarebbe da riconoscere che, sul tema energetico, una maggioranza possibile, a sostegno di Draghi, semplicemente non c’è. Letta e  Conte hanno recitato la parte degli indignados, protestando  contro l’inserimento di gas e nucleare nell’elenco di tecnologie considerate sostenibili nell’ottica della transizione energetica. Col che, evidentemente, mistificando il senso del documento che la Commissione ha diffuso lo scorso dicembre. Nel quale ci si limita a riconoscere  la necessità di sfruttare, con garanzie stringenti in termini di efficienza,  anche nucleare e gas per assicurare un passaggio ragionevole verso le rinnovabili, indirizzando in tal senso gli investimenti privati. Questo, in sintesi, nel merito.

Ed è al merito che si richiama Enzo Amendola, responsabile per gli Affari europei a Palazzo Chigi che oggi è volato a Berlino per sondare i volubili umori tedeschi sul tema (i Verdi protesteranno, il governo invierà alcune richieste di modifica a Bruxelles, ma al dunque il cancelliere Scholz non s’opporrà al documento della Commissione), ai suoi colleghi del Pd ha suggerito di attenuare certi eccessi di ideologismo, “perché la transizione non è un pranzo di gala”. E del resto, nel gioco delle parti, Matteo Salvini c’ha messo poco a invocare il via libera al nucleare.

Nel mezzo, ovviamente, ci si ritrovano Cingolani e Daniele Franco, che gestiscono la trattativa con Bruxelles d’intesa con Draghi. E che, negli incontri bilaterali avuti negli scorsi giorni coi responsabili dei vari partiti di maggioranza, hanno spiegato perché di margini per alzare le barricate non ce ne sono. Di certo non è l’apertura di nuove centrali nucleari quel che il governo  vagheggia; ma a Palazzo Chigi sanno benissimo che non potremmo esprimerci  contro l’inserimento del nucleare “pulito” nella tassonomia, impedendo a quanti da questa fonte di energia dipendono di  continuare a investirvi. “Sarebbe mettere un dito in un occhio alla Francia e a un’altra dozzina di paesi”, ripetono gli ambasciatori del Mef agli scettici di Pd e M5s. E forse non è un caso che ieri i capigruppo dem e grillini alla Camera siano intervenuti per alleggerire la portata del question time che i rossogialli della commissione Ambiente stavano preparando con l’intento di esigere un responso chiaro dal governo proprio sul nucleare.

E in realtà, nel sentiero stretto che l’Italia deve percorrere, neppure sul gas si potrà essere troppo schizzinosi. Intanto perché la Germania non apprezzerebbe un simile sgarbo, e poi perché, più banalmente, è dal gas che dipende la gran parte della nostra industria. E infatti, se alcune modifiche si vorranno chiedere a Bruxelles sulla tassonomia, queste andranno, stando agli auspici del Mite, in senso addirittura opposto  ai voleri di Conte e Letta. Perché i parametri che l’Ue impone sul gas affinché venga ritenuto “sostenibile” (emissioni inferiori a 100 grammi di CO2 per kWh, quando la media attuale è ben più del doppio, e la contestuale chiusura di impianti a combustibile fossile) sono, dicono tra Via XX Settembre e Via Cristoforo Colombo,  “pressoché impossibili da rispettare, nell’immediato”. Ed è questo il senso di una prima bozza stilata dal governo per la risposta formale al documento europeo. Una bozza, risalente a inizio gennaio, che però forse rischia di eccitare le esibite suscettibilità di mezzo Parlamento, quello della parte sinistra, proprio alla vigilia della più importante partita politica della stagione. Perché le eventuali osservazioni di Mite e Mef dovranno pervenire alla Commissione entro il 21 gennaio. E cioè tre giorni prima dell’inizio del gran ballo quirinalizio, dove il premier sarà tra i protagonisti. E forse è anche per questo che, nel dubbio, Draghi ha deciso al momento di non inviare alcun commento o richiesta di chiarimento, a Bruxelles. Restare neutrali, insomma. Come si conviene a chi deve apparire super partes. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.