Colle o non Colle

Non possiamo rinunciare sia a Draghi sia a Mattarella, dice il senatore Zanda

Il dibattito nei partiti e i problemi aperti

Marianna Rizzini

“Lo stato, l’economia e la pace sociale si reggono su queste due figure. Prima di dire chi dovrebbe andare al Colle, definiamo il profilo del suo futuro inquilino”, dice l'ex capogruppo pd a Palazzo Madama

 Draghi e il Quirinale, Draghi e Palazzo Chigi. Anche la stampa estera interviene sul tema, se è vero che ieri Bill Emmott, sul Financial Times, ha scritto che “in un mondo perfetto Mario Draghi dovrebbe rimanere primo ministro per tutto il periodo di attuazione del Pnrr”. Ma se questo “risultato perfetto è irrealizzabile”, allora è giusto “perseguire la migliore soluzione imperfetta, cioè che Draghi sia eletto presidente della Repubblica dal Parlamento italiano a fine gennaio e che supervisioni questo processo come capo dello stato nei prossimi sette anni”.

    
È “un’illusione che Draghi resti primo ministro fino al 2023”, scrive Emmott. Qualche giorno fa invece l’Economist, incoronando l’Italia “paese dell’anno” e lodando l’operato di Mario Draghi, ha espresso il timore che “questa insolita esplosione di buona governance possa subire un’inversione” in caso Draghi vada al Quirinale, “un incarico più cerimoniale”, lasciando il posto ad un premier “meno competente”. Nel silenzio del premier, la questione agita i partiti. Il senatore Luigi Zanda, ex capogruppo pd a Palazzo Madama, osserva il quadro “molto complicato, di fronte al quale è difficile fare previsioni con un minimo di attendibilità, vista la frammentazione nel Parlamento italiano, con tre partiti attorno al 20 per cento, uno al 15, l’altro all’8 e con divisioni all’interno delle varie forze – e questo spiega anche perché nessuno abbia preso finora una posizione chiara. Ma meglio così, in un certo senso: nessun nome reggerebbe 45 giorni di frullatore e dibattito avvelenato”.

 

Ci sono però due nomi che rappresentano in questo momento due pilastri: Mario Draghi e Sergio Mattarella: “Ecco, non possiamo permetterci di trovarci senza entrambi, e il rischio c’è”, dice Zanda: “Ora lo stato, l’economia e la pace sociale si reggono su queste due figure, e non voglio pensare che un dibattito politico imprudente ce li possa far perdere contemporaneamente. Queste due personalità di grande livello non meritano di essere oggetto del chiacchiericcio nazionale. In questo momento è necessaria prudenza, riflessione e lo sforzo di mettere da parte per una volta gli egoismi incrociati di partito”.

 

Serve uno e l’altro – o almeno uno o l’altro – vista la situazione? “La pandemia non è finita”, dice il senatore, “e soprattutto questo governo ci ha dato un metodo efficace per combatterla. L’economia inoltre cresce del 6 per cento, e nel 2022 crescerà ancora. Sappiamo di dover mantenere questi ritmi a lungo. Sono tutti elementi da tenere presenti nella scelta del presidente. Prima di dire chi dovrebbe andare al Colle, quindi, definiamo il profilo del suo futuro inquilino”.

 

Zanda considera irrinunciabile la presenza nel quadro nazionale di Mario Draghi: “Non mi spingo a dire in quale posizione, sarebbe prematuro, ma che Draghi sia irrinunciabile sono in pochi in Italia a non pensarlo. Pensiamo anche alla grande novità che ha introdotto a livello di azione e linguaggio: un linguaggio di verità, una capacità di definizione dei problemi e delle soluzioni per quello che sono, senza infingimenti, senza giri di parole. E’ un cambio di paradigma, e credo ci faccia bene”.

 

Incombono poi, “oltre alla guerra al Covid, oltre alla necessità di mantenere alta la bandiera della crescita economica e oltre agli interventi urgenti di natura sociale”, dice Zanda, “altre due grandi questioni che dovremo affrontare nei prossimi anni: l’unità politica dell’Europa e la riforma del nostro sistema istituzionale. Evidentemente, infatti, il bicameralismo non regge, come non regge la qualità del rapporto tra Stato e autonomie, come non regge l’ordinamento della magistratura. Abbiamo problemi giganteschi da risolvere, cerchiamo di avere al timone le persone giuste”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.