Così Landini è diventato il barbaro che il Pd non sa romanizzare

Valerio Valentini

La fermezza di Draghi: "Il tuo, Maurizio, è benaltrismo". La diplomazia di Letta, sulla faglia di uno scontro tutto interno alla sinistra. E spetta proprio a Provenzano e Orlando, gli amici traditi dal leader della Cgil, proporsi come mediatori. Il nervosismo di Guerini

Ai maliziosi parrà quasi una nemesi. Che tocchi cioè proprio a chi più lo ha coccolato doversi sforzare ora di ricondurlo alla ragione. E infatti Andrea Orlando non attende che sia l’alba, per esprimere il suo stupore di fronte allo sciopero voluto da Maurizio Landini, insieme con Pierpaolo Bombardieri. E allo stesso modo Enrico Letta, lascia che a gestire la diplomazia coi due leader di Cgil e Uil sia il suo vice, Peppe Provenzano. Sono loro, il ministro e il responsabile area del Nazareno, le due massime autorità del Pd sul tema del lavoro che sono anche i due alfieri della sinistra interna, della via corbiniana alla giustizia sociale, a ritrovarsi sulla faglia. Anche perché da Palazzo Chigi, già in mattinata, hanno comunicato a tutti i diretti interessati che di spazio per la mediazione non ce n’è.

Del resto Mario Draghi già giovedì scorso, di fronte alle rivendicazioni velleitarie di Landini, aveva messo a verbale il suo risentimento: “Il tuo, caro Maurizio, è solo benaltrismo”. E siccome il leader della Cgil anziché desistere ha rilanciato, ieri mattina il premier ha dato mandato ai suoi ambasciatori di ricorrere al lessico della fermezza, di quando cioè si deve dimostrare che non si intende cedere a minacce: per cui che la tentino pure, Cgil e Uil, la prova di forza, e poi, all’indomani del 16 dicembre scelto come giorno della mobilitazione, ognuno tirerà le somme e farà i conti col consenso che ha raccolto. 

E dunque, di fronte a questa reazione di Draghi, il Pd s’è ritrovato col cerino in mano. Orlando, che nell’ultimo Cdm aveva esortato il premier ad accelerare sulla convocazione del tavolo per le pensioni, ottenendo la programmazione di un vertice all’inizio della prossima settimana, ora si ritrova a dover giustificare, non riuscendovi, l’avventatezza di chi, come Landini, ha preferito non attendere quella convocazione e passare alle vie di fatto. Con una scelta che sa ben poco di zelo sindacale, e molto di mossa politica, e che delegittima proprio chi, come il ministro del Lavoro, s’era proposto come mediatore tra le parti. Per questo Letta ha condiviso con alcuni dei membri della segreteria la sua preoccupazione: “Ché nessuno più di Draghi ha presente i rischi connessi a una ripresa senza lavoro e con troppe disuguaglianze”. Per cui, come spiega anche il responsabile economico del Pd, quell’Antonio Misiani che è pure lui uomo vicino a Orlando, che “la legge di Bilancio sarà anche perfettibile, ma lo sciopero generale, nel 2021, è uno strumento sbagliato e anacronistico”. E allora poi è stato Provenzano, a telefonare a Landini e Bombardieri. E a farlo con lo scrupolo duplice di chi, oltre a voler evitare grane al governo che sostiene, vuole anche scongiurare il rischio, che in un certo Pd è sempre attuale, di avere “nemici a sinistra”.

Anche perché i bersaniani di Articolo1 si riuniscono per tutta la giornata in conclave, consultando anche Vincenzo Visco e Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria all’Economia, e uscendo con una posizione assai meno ostile a Cgil e Uil. “Alla politica non spetta giudicare le scelte del sindacato, ma semmai prenderne atto e agire di conseguenza”, ci dice Arturo Scotto. E insomma forse lo spauracchio diventa quello di ritrovarsi coi ministri in piazza contro il proprio stesso governo? “Chiunque pensa di rivedere le scene di Ferrero all’epoca di Prodi si sbaglia”, s’impunta Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera. “Anzi, se qui c’è qualcuno che ha messo in difficoltà Draghi, è proprio il centrodestra che ha rifiutato di accogliere una misura, quella della sterilizzazione del taglio dell’Irpef ai ricchi per finanziare il caro bollette, che sarebbe stato un segnale importante”. Ma davvero si può scioperare per una misura da 250 milioni, a fronte di una decontribuzione di 1,5 miliardi varata da Draghi proprio per accogliere le istanze dei sindacati? “Ma guardate che il paradosso di proclamare uno sciopero generale di fronte a una Finanziaria espansiva lo vedo anche io”, dice allora Fornaro, “ma credo comunque che a quel disagio sociale di cui Landini si fa interprete il Parlamento deve dare risposte”. Solo che il Parlamento, come la viceministra Laura Castelli ha ribadito ieri alle delegazioni dei partiti, sulla legge di Bilancio può discutere di 600 milioni scarsi. E nulla più. 

Sarà per questo, allora, che fiutando il rischio di vedere il proprio partito azzoppato dal supposto fuoco amico della Cgil, lo stesso Lorenzo Guerini, che pure in queste settimane continua a raccomandare ai suoi calma e gesso, ieri mattina ha chiesto di esprimere il sostegno dell’ala riformista del Pd alla scelta responsabile della Cisl, che dal fronte dei barricaderi s’è subito sfilata. “La verità è che troppo spesso il Pd pensa che il proprio ruolo sia quello di romanizzare dei barbari che invece di farsi romanizzare non hanno alcuna intenzione”, sbuffa, sornione, il senatore Andrea Marcucci. Allude a Giuseppe Conte, forse, ma si riferisce a Landini. Il barbaro che il Pd non sa romanizzare. 
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.