la festa dell'ottimismo

Mario visto da Mario: l'ex premier Monti si racconta

Alla Festa del Foglio, il senatore elogia Draghi e sulla censura dell'informazione dice di essere stato frainteso. “Il Trattato del Quirinale? Magnifico. Conte? Un miracolo. Il Cav.? Impedii la sua elezione al Colle nel 2013”

Michele Masneri

L’ex premier Mario Monti è stato ospite del Foglio alla Festa dell’Ottimismo di Firenze, domenica scorsa.

 

Professore o presidente: che preferisce?

“Anche niente”.

 

Benissimo. Intanto quello che stiamo vivendo è un po’ una specie di amarcord, perché dieci anni fa ci fu un grande governo tecnico con una personalità di eccezione che era lei. Oggi c’è un altro Super Mario che è al governo e che sta gestendo la situazione. Lei, però, sottolinea spesso un’alterità rispetto a questa esperienza: quali sono le cose in comune e quali le differenze?

“Le analogie sono evidenti: la difficoltà in cui si è trovato il sistema politico italiano per ragioni diverse sia nel 2011 sia nel 2021. Tra parentesi: io conosco qualche persona giovane e brillante con primo nome Mario che comincia a pensare al 2031. La differenza più evidente è che in questa situazione c’è un’emergenza in più, che è quella della pandemia, che ovviamente non c’era 10 anni fa. E c’è un’emergenza in meno, che è quella finanziaria, il rischio del default dello stato italiano e probabilmente il crollo dell’Eurozona se l’Italia fosse passata dalla parte della Grecia facendo anche lei il dissesto. Quindi sono circostanze molto diverse. Forse  tra le analogie ce n’è anche un’altra: quando è nato il mio governo mancavano 14 mesi alla data naturale delle elezioni di inizio 2013. E una delle parti contraenti in questo accordo di grande maggioranza amava dire spesso: ‘Ma gli stacchiamo la spina fra due mesi o fra due settimane?’. Quando è nato, il governo Draghi aveva di fronte a sé un orizzonte di due anni prima della scadenza naturale della legislatura”.

 

 “In questo momento godiamo di una guida del governo straordinariamente autorevole in Italia e all’estero”

 

Quello che non cambia riguarda la comunicazione e i media. Lei ieri (sabato, ndr) in una trasmissione televisiva ha detto una cosa abbastanza forte. In tempi di guerra, come sono questi, i media dovrebbero comportarsi in maniera diversa, ci dovrebbe essere un filtro al contagio dell’informazione. Oggi se guardiamo le prime pagine di giornali si parla di variante Omicron e, per usare una citazione, la confusione è grande sotto il cielo. Però l’idea di una censura è abbastanza forte come idea. Che tipo di censura lei vorrebbe?

“No, io ho parlato di democrazia e le mie parole sono state intese in senso quasi opposto, ma il tema del ruolo dell’informazione nella gestione di una situazione di emergenza come quella del Covid si pone proprio nelle democrazie, perché nei regimi autocratici come l’Ungheria o la Cina il controllo del potere pubblico sull’informazione c’è sempre e comunque, in tutto. Grazie a Dio, nelle democrazie no e teniamoci stretta questa libertà. Ma c’è da chiedersi: come affronta una democrazia, col grande orgoglio di esserlo, le situazioni di emergenza. Bene, prima di arrivare al tema dell’informazione: noi abbiamo accettato – e, vorrei dire, accettato di buon grado – da parte del potere pubblico delle limitazioni che mai avremmo immaginato alle nostre libertà individuali. Tutto è stato modificato perché – si è detto – siamo in una situazione di guerra. L’analogia con la guerra porta a chiedersi: ma in guerra una delle prime cose che si modificano non è il sistema dell’informazione? Ma credo che vada aperta una riflessione su questo. Vede, secondo me un senatore a vita ha una sola ragione di essere: trovarsi fuori dalle parti e cercare di ragionare, e far ragionare, nell’interesse del paese, anche su temi di solito scomodi da toccare. Questo è uno di quelli. Tra l’altro questa osservazione l’ho fatta due settimane dopo lo scoppio della pandemia nel 2020.  E’ confacente all’esigenza di gestire democraticamente i comportamenti in una situazione di pandemia il fatto che ogni canale televisivo, e non parliamo di Internet, dedichi 10-15 ore al giorno nei suoi talk-show a questa tematica? Ecco, questo a mio avviso è un tema che ci dobbiamo porre, un atteggiamento che spesso la corporazione dell’informazione ha, come ogni corporazione in Italia, ma nessuno è al di sopra di tutti gli altri in situazioni di guerra. E’ una guerra mondiale, ma dovrebbe essere una guerra che vede tutto il mondo unito contro il virus. Viceversa, si trasforma, nella situazione geopolitica di oggi, in una guerra tra blocchi e tra paesi. Questo sottolinea l’inadeguatezza totale dell’attuale assetto di governance internazionale che già si vede nelle situazioni normali, ma di fronte a una pandemia appare clamorosa”.

 

Come dovrebbero fare i governi a regolamentare l’informazione? Per esempio, convocare i presidenti della Rai, i direttori dei giornali…

“Non lo so. Sono cose che andrebbero studiate. Ma posso farle una domanda? Lei trova normale la situazione attuale dal punto di vista del ruolo dei media in questa situazione eccezionale e di assoluta emergenza?”.

 

Quello che abbiamo scritto tante volte anche noi è che il carosello dei virologi e sedicenti tali, che ogni giorno spiegano tutto e il contrario di tutto, può creare confusione, su questo mi trova d’accordo. Per esempio negli Stati Uniti c’è Fauci che parla, non 50 virologi tutte le sere. Però prima bisogna capire se il rischio di censura effettivamente c’è.

“Forse mi sbaglio io, ma ho sempre pensato che, prima di individuare una buona soluzione a un problema, bisognerebbe decidere se quel problema esiste o no. Mi pare di essere in assoluta minoranza nel dire che questo problema esiste, eppure ascoltando la gente sento che moltissimi pensano che questo problema esista”. Lei propone un virologo unico… “Non faccio alcuna proposta, chiedo al mondo dell’informazione l’autorevolezza e la possibilità di darsi codici di autodisciplina e forse persino di osservarli”. 

 

“L’analogia con la guerra pone un tema: in guerra una delle cose che si modificano non è il sistema dell’informazione?”


Oggi si presenta una situazione inedita: la fine dell’èra Merkel e l’accordo franco-italiano che sembra suggellare una stagione di successi internazionali dell’Italia. Secondo lei questo qual è il significato di questo accordo? E poi questa grandeur dove vinciamo tutto, dallo sport alla musica: è tutto vero o ce lo stiamo raccontando anche per consolarci un po’ del passato recente?

“Se questa parola, ottimismo, è uno stimolo permanente al fine di guardare al futuro con speranza, rimboccarsi le maniche e avere voglia di fare, ben venga. In questo momento godiamo di una guida del governo straordinariamente autorevole in Italia e all’estero. E di una situazione totalmente inedita di un’Europa che, mentre in passato diceva ai paesi ‘fate le riforme strutturali anche impopolari e intanto io vi vieto di spendere un po’ di più’, stavolta dice ‘fate le riforme strutturali e, se le fate, io vi pago’ – perché questo è il Pnrr. Quindi, grandi cose. Il Trattato del Quirinale, nato diversi anni fa come idea e magnificamente realizzato l’altro giorno, è una cosa importante. Quando c’era la crisi finanziaria dell’Eurozona, Merkel e Sarkozy stavano dalla loro parte e guardavano con un po’ di disprezzo l’Italia, però 8/9 mesi dopo è successo il contrario”. Come ormai tutti sanno, a cambiare radicalmente la situazione dell’euro non è stata la frase, che ha molto aiutato poi sul piano dei simboli, del presidente della Bce, il “Whatever it takes”. Quella, semmai, è stata la manifestazione segnaletica. Come mai non è arrivata uno, due o tre mesi prima, quando ce n’era altrettanto bisogno? Perché la posizione della Germania e della cancelliera Merkel sarebbe stata quella di criticare pubblicamente quel cambio di posizione e di vanificarlo. Quello che è successo è che, senza il Trattato del Quirinale o altro, il governo italiano in quei mesi ha costruito un’alleanza, non con Sarkozy che aveva lasciato, ma con Hollande, l’allora nuovo presidente francese. Di concerto con Mariano Rajoy, con un formidabile appoggio esterno di Barack Obama, che non era affatto in panchina: stava ai limiti del campo sostenendo la nostra posizione nei confronti di quella della Merkel. Abbiamo messo alle strette la cancelliera finché, a giugno 2012, ha accettato l’idea di togliere la camicia di forza alla Bce. Questo per dire che lo spirito dell’attuale Trattato è importante e ha dei precedenti di estrema valenza pratica anche prima che ci fosse. La mia conclusione è che Germania, Francia e Italia necessariamente devono condurre insieme l’Ue e l’Eurozona. E se una delle tre parte un po’ troppo per la tangente, fosse anche verso la tangente virtuosa, deve mettersi in moto una reazione degli altri per ritrovare un equilibrio. Sono completamente d’accordo con quello che hanno dichiarato i presidenti Draghi e Macron l’altro giorno: lo spirito di questo trattato non è di mettere Francia e Italia contro la Germania, semmai è di rafforzarle per poter essere interlocutori più incisivi anche verso la Germania”.


Lei viene sempre paragonato a Draghi perché effettivamente sono impressionanti le sillogie: Supermario, il passato europeo, il grande nome…

“No, Super Mario adesso è lui. Ricordo un giorno di diversi anni fa, a Bruxelles, quando in occasione della cena di un think-tank che io presiedevo e dove lui ha accettato di venire a parlare, gli ho fatto quasi una consegna formale del titolo di Super Mario”.

 

Abbiamo due Papi, possiamo avere anche due Super Mario.

“Anche uno di questi due Papi, lo dico con grandissima devozione, Benedetto XVI si prestò – ai tempi della crisi finanziaria e di un comportamento a volte arrogante, non tanto della signora Merkel, quanto delle autorità della Baviera in generale verso tutto il sud Europa e in particolare verso la Grecia e in fondo anche verso l’Italia. Io andai a parlare con Benedetto XVI, che non restò insensibile e, da parte sua, grazie alla sua autorità lanciò dei segnali alla Germania”.

 

Ah, interessante. Ci fu una specie di mediazione diplomatica di Papa Benedetto?

“Non si trattò di mediazione diplomatica, perché il termine è troppo basso per lui e onestamente anche perché non ne avevo bisogno. Però si trattava di far presente soprattutto alla classe politica della Cdu-Csu che quegli atteggiamenti avrebbero portato a una spaccatura mentale, intellettuale e morale dentro l’Europa, tra nord e sud, cosa non meno grave della crisi dell’euro”.

 

“Parlai con Benedetto XVI, che non restò insensibile e grazie alla sua autorità lanciò dei segnali alla Germania”

 

Tornando in Italia, lei viene sempre paragonato a Draghi. Però ha avuto parole di apprezzamento anche per Conte e, in un certo senso, la sua esperienza potrebbe essere più simile a quella di Conte, che dopo essere stato presidente del Consiglio diventa un leader politico. Che ne pensa?

“Conte è stato miracoloso, diciamo la verità: è passato da frequentatore semi furtivo di biblioteche di grandi università americane durante l’estate, di cui ha fatto ampio uso nel suo curriculum vitae, a oscuro, ancorché certamente preparatissimo, avvocato, a esperto presentato nella carrellata dei potenziali ministri tecnici del governo che si formò nel 2018, a presidente del Consiglio. Durante il suo primo governo non ha esercitato le sue funzioni adempiendo all’articolo 95 della Costituzione, perché non ha – io gliel’ho detto anche in Senato – diretto la politica generale del governo, compito del presidente del Consiglio. Anche se un po’ ha cercato di dirigerla. E aveva al suo fianco due vice primi ministri che erano quelli che avevano scelto lui e fatto il programma, mentre di solito è il presidente del Consiglio a scegliere i ministri, a sottoporli al capo dello stato e a fare il programma. Dato questo punto di partenza, diciamo che ha fatto più di quello che mi aspettassi. Cosa farà Conte in futuro non lo so. Cosa ho fatto io dopo essere stato capo del governo lo so. E ho fatto una cosa che nessuno in Italia ha capito. Soprattutto non l’ha capita la stampa, ma non me ne importa niente. Seguendo la mia coscienza ho pensato che il compito di un primo ministro che esercita in un momento di grande emergenza sia quello di concepire il governo non come un tappeto rosso per un traguardo più alto, allora a disposizione essendoci nel 2013 le elezioni per il presidente della Repubblica, ma come un luogo di esercizio duro. Ho cercato, nelle situazioni di allora, che un paese che aveva sopportato grossi sacrifici, che si era dato un corso molto in linea con l’Europa, che aveva adottato una certa disciplina di bilancio e che aveva iniziato le riforme strutturali, come quella sulle pensioni, non deragliasse alla prima elezione, quella del febbraio del 2013, imboccando già allora, con cinque anni di anticipo, un corso populista e anti europeo. Per la mia coscienza il tema era: c’è qualcosa che posso fare per evitare questo? Molto più importante del fatto che io eventualmente andassi al Quirinale. Sì, cercare di creare in Parlamento una forza che potesse evitare la formazione di una maggioranza estremista: così è successo e abbiamo avuto una legislatura che ha eletto come presidenti della Repubblica Napolitano II prima e Mattarella poi, e come presidenti del Consiglio Letta, Renzi e Gentiloni”.

 

“Conte miracoloso, da frequentatore semi furtivo di biblioteche di grandi università americane a palazzo Chigi”

 

L’idea che Berlusconi, il suo predecessore a Palazzo Chigi in quei drammatici giorni, possa andare al Quirinale cosa le suscita?

“Certamente ci sarebbe andato nel 2013, se io non avessi preso questa iniziativa. Il centrodestra, senza il 10 per cento di Scelta civica, avrebbe avuto la maggioranza assoluta. Io penso che nell’aprile del 2013 Silvio Berlusconi, che non aveva ancora subìto le conseguenze derivanti dalla legge Severino, sarebbe stato eletto presidente della Repubblica e questo non è successo”.


Il suo profilo Twitter è rimasto fermo, dice che lei è ancora presidente del Consiglio.

“Non credo”.

 

E’ un lapsus, una nostalgia? In fondo, come diceva, tra i due Super Mario lei ha dovuto fare il lavoro sporco, tagliare le tasse, farsi un po’ odiare dagli italiani, invece adesso…

“Il vero SuperMario, quello di oggi, allora era falchissimo alla Banca centrale europea e, insieme a Trichet, ha strizzato Berlusconi, che prese impegni di rispetto della lettera della Bce, con cui annunciava che non avrebbe più comprato i titoli italiani, acquisto senza il quale saremmo andati a fondo. Io ho dovuto eseguire, altrimenti sarebbe stato un disastro per l’Italia. Oggi lo riconoscerebbero tutti: furono eccessive le pretese di restrizione firmate da Trichet e Draghi, accettate da Berlusconi. Ma allora Berlusconi e Alfano, nel dichiarare l’appoggio al nuovo esecutivo, sottoscrissero il primo punto del governo Monti, ossia la piena esecuzione degli impegni presi verso l’Ue dal governo Berlusconi”.

 

Da falchissimo a colomba.

“Su, in cielo, succedono molte cose”.

 

Va bene, grazie professore.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).