(foto Ansa)

Cambio in procura

Paesaggio Greco con rovine

L'addio del procuratore capo di Milano e la fine del regno dei giudici

Maurizio Crippa

Va in pensione Francesco Greco, l'ultimo alfiere del pool e lascia una procura dilaniata. Nella sua carriera i successi (innovativi) sui grandi reti finanziari. Ma la  gestione del processo Eni è il suo più grande flop e il punto più basso di trent'anni di giustizia politicizzata e spettacolarizzata. Fine di un'epoca

Il brindisi davanti all’Aula magna del Palazzo di giustizia c’è stato, un commiato almeno formalmente affettuoso, non come quello di Ilda la Rossa due anni fa, che se ne andò quasi insalutata ospite dalla procura guidata dal suo ex collega del pool, non proprio un fratello. Prima del brindisi un breve discorso, in cui quell’insistere su un concetto, “le regole devono essere rispettate in primis dai magistrati”, non è apparso formale: e probabilmente ha mandato di traverso le bollicine a più di un “suo” magistrato. A qualcuno, almeno, di quei 56 pm che firmarono qualche mese fa una lettera che sapeva di atto di sfiducia verso il capo della procura di Milano, e che produsse risposte al veleno del procuratore, a mezzo stampa.
Giunto a Milano come pm nel 1979 (primo arresto eccellente nel 1985, recita Wikipedia: il segretario del Psdi Pietro Longo – quando si dice il destino), nominato capo della procura nel 2016 dopo la consueta guerra di veleni per la successione – cui non si sottrasse, seppur coi suoi modi cautelosi – Francesco Greco compie 70 anni e da sabato sarà formalmente in pensione. “Cinque anni fa, la sua nomina a capo della procura di Milano era apparsa come il normale compimento del percorso del più giovane pm del pool di Mani pulite, che da quella straordinaria stagione di lotta alla corruzione all’inizio degli anni 90, arrivò a succedere a Edmondo Bruti Liberati”, hanno scritto di lui Sandro De RiccardisLuca De Vito su Repubblica, e il loro tono accorato, da marcia funebre, basterebbe da solo a riassumere l’intera storia: “Nessuno allora avrebbe immaginato che Francesco Greco avrebbe lasciato un ufficio spaccato, con due aggiunti e diversi pm indagati, rimasti impelagati in accuse reciproche sulla gestione di quelle indagini su cui lui stesso aveva investito di più”. Per non parlare della guerra delle comari, avrebbe detto Formica, ma all’ultimo sangue, con l’ex gemello del pool “Pieranguillo” (copyright Alfredo Robledo) Davigo. Greco se ne va e si lascia alle spalle un paesaggio di rovine e la fine di un’epoca – o di un mito – quella del “rito ambrosiano” e della procura degli Incorruttibili.

I successi e le sconfitte di Francesco Greco

Umanamente sobrio, probabilmente Greco non scriverà una autobiografia per regolare vecchi conti e spargere nuovi veleni, come ha fatto Ilda Boccassini. Un parziale monumento a sé stesso, e un’autodifesa, l’ha già affidata qualche tempo fa a un’intervista con Milena Gabanelli sul Corriere. In cui, tra una sciabolata e l’altra contro l’arcinemico Davigo e altri pugnalatori alle spalle, rivendicava soprattutto il suo lavoro di modernizzatore del lavoro della magistratura, la sua attenzione ai grandi reati finanziari internazionali e sistemici. Tutto vero, il successo maggiore della sua carriera (a parte l’ordalia di Mani pulite) sono state indubbiamente le inchieste fiscali sui colossi del web, e il suo lavoro anche “di teorico” sulla necessaria collaborazione tra magistratura, Consob, potere legislativo e agenzie del fisco. Ma il panorama che Greco si lascia alle spalle è fatto di rovine: è evidente a tutti, persino agli storici cantori del rito ambrosiano, e non solo per il tasso di acidità dei veleni che da mesi scorrono nella marmorea fortezza di Piacentini.

Il grande flop dell'inchiesta Eni

Basterebbe un dettaglio: da lunedì al suo posto ci sarà il procuratore aggiunto Riccardo Targetti, ma di passaggio, poi andrà in pensione: in attesa che il Csm, tra un trojan e l’altro, tra una rissa di correnti e una polemica politica, trovi il tempo per decidere una nomina così importante. Se non lo facesse, dopo Targetti toccherebbe proprio a Fabio De Pasquale, titolare della disastrosa inchiesta Eni, indagato a Brescia, il pm che prendeva tanto sul serio le prove falsificate di Vincenzo Armanna. Dal danno alla beffa. Non per colpa di Greco, certo, ma a dimostrazione che qualcosa, e di grosso, nel potere giudiziario non funziona più. L’altro scorcio di rovine, anche più ingombrante, riguarda due dati. E’ vero che la gestione Greco ha portato aspetti di efficienza e modernità nel tribunale, ma i suoi cinque anni resteranno legati all’unica inchiesta di peso nazionale che Milano s’è incaponita a condurre, Eni-Nigeria, “la più grossa presunta tangente” della storia italiana, finita con le assoluzioni in primo grado perché “il fatto non sussiste”. Probabilmente il peggior flop della carriera di Greco. L’altro grande processo mediatico che si è trascinato zoppicante in questi anni a Milano, ma qui forse pesa di più l’incalorimento di Boccassini, è il Ruby ter: la tarda persecuzione moralistico-giudiziaria di Berlusconi che prova a rimanere in vita dal 2015, anno in cui la Cassazione gettò alle ortiche l’immane lavoro della procura di Milano sulla famosa “prostituzione minorile”.

Se ci sono due esempi di una stagione della magistratura ormai finita – quella iniziata appunto col “mitico” pool e le sue storture, di cui racconta il bel libro di Goffredo Buccini – sono proprio queste due inchieste così smaccatamente politicizzate, così ferocemente sbilanciate nel tentativo di far prevalere il potere della magistratura su quello della politica e persino dell’economia. Nel nome della superiorità dei giudici, del loro governo degli Incorruttibili. Ma la repubblica dei magistrati – 1993-2021 – sta finendo quasi peggio, con gli stessi miasmi, di come finì la Prima Repubblica dei politici. Francesco Greco è l’ultimo protagonista di quella stagione ad andarsene. E’ ora di cambiare.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"