I movimenti del Nord

Ecco chi può prendere il posto di Salvini. La sostituzione non è più un tabù

Non guida più un partito ma lo ha preso in ostaggio.

Carmelo Caruso

La base gli chiede i congressi regionali ma Salvini si oppone perché non controllerebbe più il partito. Dal Piemonte al Veneto, passando per l'Emilia. La rete dei leghisti draghiani

Ha paura di scoprire che è solo un capo ma che non è più lui il segretario della Lega. Cosa diventa un partito che non celebra congressi e che non riesce più a contarsi? A cosa serve infatti autorizzare, in autunno, quelli di sezione e di provincia se poi non si fissano i congressi regionali? Se Matteo Salvini fa l’ambiguo anche su questo è perché sa che nella Lega i segretari regionali valgono più di un capo appannato. Non guida più un partito ma lo ha  preso in ostaggio.

La Lega alternativa esiste perché è qualcosa che lo precede e continuerà dopo di lui. In Veneto, per la prima volta, un assessore regionale come Roberto Marcato, un uomo di Luca Zaia, con un consenso straordinario, ha chiesto ufficialmente che si metta fine alla stagione dei commissariamenti e che la base scelga il suo nuovo riferimento regionale. Non ha ricevuto risposta. Perché è così importante questo ruolo? Perché solo un segretario regionale può sedersi di fronte al segretario, insidiarlo, fargli cambiare agenda, preparare il dopo. Salvini è convinto che tutti continueranno a seguirlo. Non si accorge che a lodarlo sono rimasti solo quelli che dopo di lui non hanno un orizzonte. La vera Lega ha disprezzo di loro. Dice che gli fanno “male” e che non hanno neppure competenza. Il loro servilismo gli ha permesso di essere nominati commissari di regioni che neppure conoscono.

 

Se solo Salvini andasse a farsi un giro per sezioni, e non le solite gite gastronomiche, sentirebbe dire questo: “Io non voglio più passare come un militante che sa solo dire stop ai migranti”.  Al nord ridono di quanto accaduto a Napoli. La Lega non è riuscita neppure a presentare le liste a sostegno di Catello Maresca. Chi doveva farlo è arrivato in ritardo. Può un partito serio, che rappresenta le imprese, passare per un partito sciatto che non riesce neppure a fare le cose perbene?

Lo sanno tutti che Salvini sta attendendo il risultato (fallimentare) delle elezioni amministrative. La regione dove si trasferisce ogni settimana è la Calabria. C’è una ragione. Vuole intestarsi l’unico successo eclatante del centrodestra che non è neppure suo. Vincerà Roberto Occhiuto, uno degli uomini più validi di Silvio Berlusconi, un dirigente che Forza Italia voleva già candidare in passato se solo Salvini non si fosse opposto. Se Salvini si oppone adesso ai congressi regionali del suo partito è perché c’è una Lega opposta a lui che si sta federando.

 

A Venezia, due giorni fa, Luca Zaia e Attilio Fontana si sono incontrati. Hanno parlato di nord, imprese, autonomia e ovviamente di come si possa essere leghisti senza essere salviniani. In Piemonte, sta emergendo la figura di Alessandro Canelli. E’ il sindaco di Novara che si è distinto per avere dedicato uno spazio pubblico a una donna di sinistra come Lidia Menapace. In Lombardia c’è il vivaio di Giancarlo Giorgetti. Ne fanno parte Guido Guidesi, Matteo Bianchi e Stefano Locatelli che è responsabile degli Enti locali della Lega. Un altro che ha una sua storia è Davide Caparini, assessore al Bilancio. A Roma, i due capigruppo, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo si stanno affrancando dalla Lega smandrappata. Anche un ministro come Massimo Garavaglia è sempre più distante dalle posizioni di Salvini. Guarda altrove. Hanno altre urgenze, fanno altre letture. Vorrebbero che venissero valorizzate le loro vere battaglie.

Qualcuno ha mai sentito parlare di cosa ne pensa la Lega di ambiente? E qualcuno forse lo sa che la città italiana che sta correndo per conquistare il titolo di città più verde d’Europa è una città guidata da un leghista? E’ Treviso e il sindaco si chiama Mario Conte. A Ferrara, l’altro sindaco, Alan Fabbri, ha promosso una raccolta fondi per la Fondazione Pangea che opera a Kabul. E’ vero che la Lega ha un capo, anzi, un Kapo con la k, e che in trent’anni ci sono stati solo tre segretari: Umberto Bossi, Roberto Maroni e Salvini. Sono tutti e tre lombardi e ciascuno ha indicato il suo successore. Sostituire Salvini è difficile ma non è più un tabù. Nella Lega non bisogna sottovalutare l’obbedienza ma neppure sottostimare l’istinto di conservazione. C’è una Lega che ha oltrepassato il Po ma un’altra che ha il culto del lago. Ha un suo consenso. I suoi voti. Le sue idee fisse come l’autonomia. L’eternità del capo non esiste. Anche Bossi, che era il fondatore, è stato costretto a lasciare. Immaginare il dopo Salvini è qualcosa di reale. In una successione traumatica il partito chiederebbe a Giorgetti di ricoprire l’incarico. Sarebbe costretto ad accettare. Una successione controllata sarebbe invece quella che porterebbe al nome di Massimiliano Fedriga. E’ capace di stare con Salvini pensando le cose di Giorgetti. Dissimulare è da capi ma da leader.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio