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Al festival della Tv

Cairo spiega perché i media non devono ingigantire la bolla no vax

Ruggiero Montenegro

"Devono avere uno spazio proporzionato al loro peso. “Draghi sta realizzando le cose che servono al paese, sarebbe molto importante continuare ad averlo” dice l'editore del Corriere della sera

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L’informazione alla prova della pandemia, tra digitalizzazione, politica e nuove spinte sociali. A un’anno e mezzo dal primo lockdown, per il mondo dell’editoria i tempi sono maturi per trarre le prime indicazioni e tracciare la rotta verso i prossimi mesi. A partire dai vaccini: “Credo che la campagna di vaccinazione vada sostenuta, perché è la conditio sine qua non per uscire da questa situazione, da problematiche che sono di tipo sanitario, ma anche sociale ed economico”. Parte da qui Urbano Cairo, presidente del Torino e soprattutto amministratore delegato di Rcs Media group, intervistato da Claudio Cerasa sul palco del Festival della Tv e dei nuovi media, inaugurato ieri a Dogliani, in provincia di Cuneo. 

E mentre la campagna procede verso l’obiettivo di immunizzare l’ottanta per cento degli italiani entro fine mese, resta aperto il dibattito su quale debba essere il ruolo dei media in questo scenario. Se limitarsi a raccontare, a prendere atto di quel che accade o se, invece, debbano farsi carico di un ruolo attivo e responsabilizzante. Il riferimento, in questo caso, è al mondo no vax, a maggior ragione in vista della ripartenza della stagione dei talk show, programmi che notoriamente vivono  di contrasti tra idee differenti: “Io sono un editore molto aperto, a cui non piace dare linee rigide ai suoi dipendenti, credo che debba essere fotografata la realtà, credo ci debba essere uno spazio per chi la pensa in maniera diversa”, è il pensiero dell’editore del Corriere della Sera che però, rispetto a chi si oppone alle vaccinazioni, puntualizza: “Se vediamo che il mondo no vax pesa per una percentuale molto piccola, dovrà avere uno spazio proporzionato a quella quota, non eccessivo”.

 

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Una puntualizzazione che assume ancora più importanza nel momento in cui, come pare, il governo è pronto a spingere sull’obbligo, come annunciato giovedì da Mario Draghi. “Mi sembra che sia un primo ministro che sta realizzando le cose che servono al paese, in un momento molto grave come quello attuale, per uscire dalle secche di un grande problema economico. E lo sta facendo, in alcuni casi, anche non andando incontro al favore di tutti, come sul tema del green pass o, appunto, della campagna vaccinale”, è il ragionamento di Urbano Cairo che riconosce nei provvedimenti e negli atteggiamenti messi in campo dal premier anche una capacità di ridefinire l’orizzonte politico e partitico italiano: “Mi sembra – spiega ancora il numero uno di Rcs – che con l’avvento di Draghi, per esempio, anche l’atteggiamento di Salvini sia cambiato. Il premier ha portato la Lega e il suo leader verso posizioni europeiste. Poi certamente vedremo come evolveranno le cose, c’è ancora molto tempo davanti fino alle elezioni”.

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E Salvini non è il solo, visto che in sei mesi, da quando questo governo si è insediato i sommovimenti all’interno dei partiti sono stati molteplici. Un cambiamento trasversale che riguarda tutto l’arco parlamentare: Il Movimento 5 stelle ha un altro leader, il Pd ha un nuovo segretario, Forza Italia e Lega vanno verso una fusione e la stessa Meloni sta cercando di rendersi più presentabile a livello europeo.  In questo scenario, l’Italia sembra avviata verso una prospettiva abbastanza incoraggiante, grazie alle risorse del Recovery plan, oltre 200 miliardi in arrivo dall’Europa che hanno in qualche modo creato un binario che il paese dovrà seguire, a prescindere dalle forze politiche che andranno al governo. Una traiettoria di cui, probabilmente, Draghi al Quirinale per i prossimi 7 anni, sarebbe la maggiore garanzia, una soluzione in grado di dare fiducia all’Italia, anche a livello di proiezione internazionale. “Da parte mia – dice Cairo - c’è grande stima in Draghi, sia come politico che come economista. Ha dato un apporto fondamentale in questi mesi e sarebbe molto importante continuare ad averlo. A maggior ragione nel momento in cui, se guardiamo alla scena europea, si avvicina la fine dell’éra Merkel e c’è stata la Brexit. La credibilità di Draghi darebbe all’Italia, sicuramente, un ruolo superiore a quello che ha avuto negli ultimi anni”.

Prima della chiusura dell’evento, c’è anche il tempo anche per affrontare brevemente il caso Blackstone: i precedenti editori di Rcs avevano venduto lo storico palazzo di via Solferino a un prezzo che secondo Cairo era troppo basso. Ne è così nato un contenzioso in America, che rischia oggi di costare milioni di euro al gruppo editoriale: “Non ricorrono gli estremi perché il giudizio sia formulato negli Stati Uniti, la competenza era ed  è solo dell’arbitrato che abbiamo avviato in Italia. Non abbiamo nessun piano b perché non c’è materia di cui parlare”.

Le ultime battute chiamano invece in causa il Cairo presidente del Torino, in un finale a cavallo tra calcio e politica. E così, se Draghi fosse un calciatore, chi sarebbe? “Ho apprezzato molto il nostro regista agli Europei, direi Jorginho”. E Salvini? “È un attaccante, milanista: sarebbe Pierino Prati, mentre Meloni che vedo più come trequartista, sarebbe la Giacinti, una calciatrice molto forte del Milan femminile”. Non restano che Enrico Letta, “una mezzala, un centrocampista come Nicolò Barella”. E Giuseppe Conte, che manco a dirlo “farebbe l’allenatore, visto che ha il nome”.

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