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L'intervista

Colao sfida gli hacker

Michele Masneri

Il presunto riscatto pagato dal Lazio, il nuovo cloud di stato “sovrano e sicuro”, il ritardo tecnologico “che stiamo colmando” e le risorse del Pnrr: “Ne arriveranno altre”. Intervista al ministro dell’Innovazione 

“Come saprà sono molto sensibile al tema”, dice Vittorio Colao al telefono. “Proprio io ci cascai, anni fa, con una mail sospetta, e mi rubarono tutti i dati. Ci sono stati poi processi, guardi su Google” (non c’è bisogno, è il famoso baco del Corriere, quando era amministratore delegato di Rcs, gli rubarono in particolare i piani strategici del gruppo, fu un enorme scandalo. I mandanti non erano russi ma molto più domestici). “Io appunto ci cascai, mentre Massimo Mucchetti, da bravo giornalista, no”. E l’allora vicedirettore del Corriere ci ha scritto pure un libro. Insomma può capitare a tutti, fa capire Colao, e chi sono io per giudicare l’impiegato della Regione Lazio, quello in smartworking ciociaro col pc usato dal figlio in notturna?

E però Colao è internazionale-lombardo e quello è di Frosinone. Colao è un Draghi coi giga illimitati: ex Harvard, ex Rcs appunto, ex gran capo mondiale di Vodafone, infanzia a Desenzano del Garda come Jacobs e come la ministra Gelmini (c’è chiaramente un fattore D in quest’Italia 2021), servizio di leva nei Carabinieri, leggendaria riservatezza, è l’uomo del momento. Aveva pronosticato da mesi che i dati informatici delle amministrazioni pubbliche italiane non erano al sicuro e zac, ecco il Frosinone-gate. “Al G20 di Trieste abbiamo lavorato benissimo”, dice, G20 cibernetico appena concluso. Intanto si va avanti sul cloud nazionale, un forziere in cui mettere tutti i dati delle amministrazioni, e poi l’Agenzia di sicurezza informatica, la nuova creatura che eviterà che non succeda più un caso Lazio. Negli altri paesi agenzie del genere esistono da vent’anni. Colmeremo il ritardo? “Ce la stiamo mettendo tutta”, dice Colao. Col Pnrr arriveranno risorse per assumere un sacco di gente, svecchiando anche la stessa amministrazione. “Ci sarà una contaminazione positiva tra più e meno giovani. E poi faremo dei test, come si fanno nel privato. Testeremo le infrastrutture. Anche quelle umane. I dipendenti, per vedere se sono informaticamente penetrabili”.

Quello di Frosinone sembrava un po’ poroso. Colao non raccoglie. E il famigerato cloud di Stato che dovrà superare i diecimila che esistono oggi (ogni amministrazione il suo tesoretto di dati)? “E’ un classico caso in cui piccolo non è bello”, dice il ministro-manager. Che sul tema però non vuole approfondire. “Ci stiamo lavorando”. Certo l’idea del cloud nazionale e “di stato” fa un po’ paura.  Come quando si evocano, in Italia, le Amazon o le Netflix, sempre di Stato. “Ma che c’entra, quello è intrattenimento. Qui si parla di dati sensibili. E ‘di Stato’ vuol dire sovrane. Sovrane e sicure. Due aspetti che stiamo mettendo insieme. Piuttosto c’è un altro tema che mi sta a cuore”. Dica. “Quello dei ransomware, come in questo caso. Cioè se ti chiedono un riscatto, è giusto o no pagare, mi chiedo. Perché se qualcuno ti ruba i tuoi dati, magari tu pagheresti. Ma allo stesso tempo se paghi è un forte incentivo a che altri lo facciano di nuovo”. E cosa ha concluso? “Non lo so, sto riflettendo, anche perché c’è anche l’aspetto dei bitcoin, una moneta completamente anonima e non controllabile”. Già, ransomware, bitcoin… ma sembrano materie un po’ complicate, per il politico medio italiano, già non a suo agio con twitter e l’iPhone. “Ma per questo ci sono i tecnici! Gli esperti. Alcuni fanno i ministri. Poi per esempio ci sono strutture come la Polizia postale che è ottima, all’avanguardia. O la parte del Dis che andrà a costituire l’Agenzia”. Riflette ancora: “certo, una delle poche cose buone del vecchio mondo analogico era che se chiedevano un riscatto, uno metteva le banconote segnate, si appostava” (vien fuori l’anima dell’ex carabiniere). Ma la regione Lazio avrà pagato il riscatto ai rapitori di dati? (certo l’idea dei bitcoin tra Frosinone e la via Cristoforo Colombo è meravigliosa). L’ex sindaco Ignazio Marino ieri in un tweet sibillino sembrava insinuare che sì. “Lei mi vuol far dire cose che non so! E comunque anche se lo sapessi non glielo direi”. Va bene, va bene. Cambiamo argomento. Nel fiorire di app, tra Immuni e Spid e Greenpass e Io, che nascono come se non ci fosse un domani, siamo pur sempre un paese in cui per avere una carta d’identità serve presentarsi nell’ufficio comunale fatiscente dopo tre mesi. Non si potrebbe davvero uscirne migliori e fare come le repubbliche baltiche, che fai tutto elettronicamente? Forse anche loro venivano da burocrazie sovietiche non efficienti. “Ci stiamo arrivando. Per gradi. Però quando sento queste cose sulle repubbliche baltiche mi chiedo come si possa paragonarle a noi. L’Estonia si può paragonare al limite a Milano, come numero di abitanti”. Allora la Lituania sarà Roma. O la regione Lazio. Ma per caso è vero che le daranno la delega allo Spazio rimessa da Tabacci? “Non so di cosa sta parlando”. Ma non mi dice niente! “Scherza? Abbiamo parlato per trentuno minuti”, dice. Poi saluta, educatamente. Si pensava che avesse la tariffa illimitata.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).