l'intervista

"Pd, basta ambiguità. Sulle riforme dobbiamo essere il pilastro di Draghi". Parla Marcucci

Valerio Valentini

"L'accordo sulla giustizia è positivo: perdere tempo per capricci di parte sarebbe folle. Ma vorrei fosse più chiaro che noi siamo la forza propulsiva del premier. Il M5s? Scelga cosa fare. Ma per noi il sostegno convinto a questo governo resta imprescindibile"

Andrea Marcucci parla col tono di chi sospira per lo scampato pericolo, ma al tempo stesso sbuffa come chi freme d’insofferenza. Perché sì, “quello raggiunto sulla riforma della giustizia è nel complesso un buon risultato”, spiega, “ma al tempo stesso il modo in cui si è arrivati a questo accordo, e la fretta che comprensibilmente Mario Draghi ha per rispettare gli impegni del Pnrr, dovrebbe spingere il Pd ad assumere fino in fondo un ruolo propulsivo, di pieno sostegno all’agenda del premier”.

 

E non succede, invece, a giudizio del senatore del Pd. “A me pare che spesso non si percepisca con chiarezza un aspetto che invece dovrebbe essere cristallino: il governo Draghi è il nostro governo, lo sforzo riformatore che il presidente del Consiglio sta facendo va sostenuto senza ambiguità. Serve una direzione univoca. Anche sul Pd, sento interpretazioni sul ruolo originali. A Goffredo Bettini che filosofeggia sul fatto che ci sia bisogno di più sinistra nel partito, rispondo che il Pd ha bisogno soprattutto di più riformismo e di più moderati all’opera. Io penso questo, ecco”. 

 

In verità, va osservato che non è il solo, Marcucci, a pensarlo. Nel corpaccione dem sono in parecchi, sia alla Camera sia al Senato, a mugugnare ogni volta che li si stimola su questi temi. Ma la politica è fatta anche di opportunità: e Marcucci è tra quanti ritengono opportuno parlare, in questa fase.

 

E dunque eccoci a commentare, a distanza di poche ore, l’esito di una trattativa protrattasi ben oltre l’inizio del Cdm risolutivo, col M5s a tentare di sabotare, o quantomeno stravolgere, il disegno di riforma di Marta Cartabia. “Sono soddisfatto perché l’impianto della riforma è rimasto integro, e vista la quantità di emendamenti presentati dalla maggioranza, non era scontato. L’accordo sulla proroga di tre anni per i reati di mafia mi sembra ragionevole. E visto che non succede spesso, vorrei dire che sono completamente d’accordo con Andrea Orlando, che del resto è stato un ottimo ministro della Giustizia”. Parla dell’esultanza del capo delegazione del pd di fronte alla “irragionevole” norma Bonafede. “Esatto”. E però quella norma era così irragionevole che per un anno e mezzo avete governato col M5s senza riuscire a modificarla: troppo timidi voi, o davvero serviva un nuovo assetto di governo, per archiviare certe riforme gialloverdi? “Guardo avanti, non indietro. Il ‘fine pena mai’ era un provvedimento da superare in fretta. Anche perché la riforma della giustizia è fondamentale per il Pnrr: impossibile dunque perdere tempo in nome di capricci e puntigli di parte. E’ stato un bene che la Guardasigilli  abbia messo mano alla giustizia con un approccio civile ed europeo. Ora vediamo un traguardo agognato: tempi certi per i processi”.

 

Non è forse, allora, mancata una presa di posizione da parte del Pd che, nei giorni passati, facesse capire al M5s che era arrivato il momento di mettere da parte i tatticismi? “Credo che soprattutto nella giornata di giovedì i ministri del Pd abbiano fatto sentire la loro voce, e credo che Conte l’abbia anche compreso. L’uscita dei 5 stelle dal governo chiuderebbe qualsiasi ipotesi di alleanza con il Pd. Senza se e senza ma, decidano loro cosa fare”.

 

 A proposito, non è che confidavate troppo nell’opera normalizzatrice di un Giuseppe Conte che, nelle ultime settimane, è parso più che altro interessato a rilanciare le battaglie identitarie del M5s? Questo cambia i vostri rapporti con gli alleati? “Il M5s da mesi sta attraversando una stagione molto difficile. Io non voglio mettere il naso in casa d’altri. Mi auguro che alla fine di questo lungo processo, venga fuori un gruppo democratico, di stampo europeo, e con meccanismi decisionali interni chiari e trasparenti. Con un Movimento con queste caratteristiche ci si può ragionare ma il programma resta il tema dei temi”. A proposito di programma: mercoledì scorso nove senatori del M5s hanno disertato il voto di fiducia su un decreto, quello relative alle semplificazioni, fondamentale nell’ottica dell’attuazione del Recovery. “Spero che con l’approvazione della riforma della giustizia questi escamotage vengano meno. L’Italia, ispecie in questa fase, merita serietà dei comportamenti istituzionali da parte di tutti”.

 

Non sarà che la necessità di mantenere un rapporto privilegiato col M5s vi impedisce di condividere davvero l’agenda del presidente del Consiglio? “Parlo per me: il Pd deve sostenere completamente e fino in fondo il governo delle riforme di Mario Draghi. Senza retropensieri e senza pensare a impossibili vie di fuga”. Nel senso che ci sarebbe chi, anche nel vostro partito, pensa ad approfittare del semestre bianco per sfilarsi dal governo? “Non lo credo ma è meglio dirlo preventivamente e mettere in chiaro la situazione subito. Mario Draghi è l’artefice di un’operazione di cambiamento enorme. E noi dobbiamo essere il suo pilastro principale”.
   

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.