Come un tempo la sinistra?

Lo strano caso del centrodestra che candida i magistrati. Parla Gaetano Pecorella

Crisi di leadership e corsa ai simboli

Marianna Rizzini

Letta e Meloni sul tema "magistrato in lista". "La rinuncia al proprio ruolo da parte della politica viene da lontano, dal post Mani Pulite", dice il giurista, storico esponente della Forza Italia delle origini

Il centrodestra che sul “no” alla commistione politica-magistratura ha costruito campagne elettorali e di stampa è diventato un centrodestra che candida a sindaco o prosindaco direttamente un magistrato (per esempio a Napoli Catello Maresca e a Roma Simonetta Matone), operazione di cui ha sempre accusato la sinistra – che dei “suoi” pm in politica ha fatto spesso un vanto. Che cosa succede? Non a caso il segretario pd Enrico Letta, un mese fa, aveva incalzato gli avversari (“Il centrodestra ha candidato due magistrati: peccato che questi abbiano preso decisioni proprio nei luoghi in cui si candidano ed hanno accesso a tutti i dati sensibili della terra…su questo c’è un buco nelle leggi italiane”), ricevendo in risposta la replica di Giorgia Meloni: “Letta ritiene un’anomalia che un giudice si candidi come sindaco quando è in funzione? E non se ne era accorto quando si sono candidati Michele Emiliano, Luigi De Magistris e Antonio Ingroia?”.

  

Ma il centrodestra che da sempre insiste sulla riforma della giustizia (separazione delle carriere in giù) non rischia, mettendo in secondo piano uno dei suoi cavalli di battaglia, di confondere il cittadino e di perdere, alla lunga, una parte di identità? “La rinuncia al proprio ruolo da parte della politica viene da lontano”, dice Gaetano Pecorella, avvocato, giurista, storico esponente della Forza Italia delle origini: “Un’intera classe politica è stata spazzata via da Mani Pulite, e a quel punto i partiti si sono dovuti per così dire arrabattare con quello che si poteva trovare. Risultato? Sempre meno persone, tra quelle scelte come candidati, hanno alle spalle un percorso lineare, per capirci la scuola di partito o l’esperienza sul campo. Fino ad arrivare a oggi: emblematico è il caso dell’ex premier Giuseppe Conte, avvocato senza alcuna storia politica alle spalle. E Mario Draghi, tecnico di altissimo profilo e valore, non ha però certo il curriculum tipico del funzionario di partito arrivato al grado più alto. Ed è come se si mettesse in scena la corsa all’accaparramento dei simboli, persone che nell’immaginario collettivo garantiscono sul piano dell’onestà o dell’efficienza”.

 

Per anni il magistrato, a sinistra, è stato visto come patente di “onestà”, parola abusata; la destra lo vede invece come emblema di “qualità” e “società civile”, altra espressione abusata. “Oggi il centrodestra”, dice Pecorella, “si trova a vivere una crisi di leadership e cerca di garantirsi la presenza in campo di un soggetto presentabile. Ma la cosa grave è che lo spazio della politica in questo modo si assottiglia pericolosamente sempre di più, visto anche il precedente inabissarsi delle ideologie di riferimento. Si cerca insomma, nel vuoto, il punto di riferimento esterno. E si prova ad assecondare la voce populista del ‘dagli al politico’”.

 

Oggi, dopo la crisi pandemica, c’è chi pensa che la fase anti-politica sia finita. Pecorella non è ottimista: “Se penso alla storia pre Mani Pulite, penso a tutti gli uomini che, in questo o in quel partito, si riferivano comunque a un sistema di valori. Ma oggi, mi domando, e parlo soltanto di Milano, a quale sistema di valori, con rispetto parlando, può riferirsi un candidato sindaco che di mestiere fa il pediatra? E poi, nella generale disaffezione verso la politica, l’eliminazione dei collegi ha peggiorato le cose: il collegio rappresentava una seria possibilità di fare selezione. Ora non si può pensare di risolvere il vuoto di leadership mettendo in cima alla lista un pm, che per definizione o deformazione professionale ha un’altra visione della società: non è un amministratore, insomma, e per l’appunto giudica. E di fronte all’urgenza di riformare il sistema-giustizia noi che cosa facciamo? Chiamiamo intanto i magistrati a guidare le città?”.
 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.