Il retroscena

"Altro che vice di Michetti". Le richieste di Matone al centrodestra. Se serve c'è il notaio

Il magistrato era pronta a ritirarsi dopo aver perso il ballottaggio. Poi Salvini e Meloni hanno inventato la storia del prosindaco (che non esiste)

Simone Canettieri

In caso di vittoria sarà vicesindaco, con delega ai servizi sociali e alle società municipalizzate: "Ho una storia, non farò la spalla"

Non vuole fare la numero due perché, racconta agli amici, “semplicemente non lo sono mai stata nella mia vita”. Ecco Simonetta Matone, “la prosindaca”. Figura che  non è contemplata in Italia e che è stata inventata l’altro giorno dai capi della destra. Un artificio linguistico  che la dice lunga su quanto abbiano dovuto penare Matteo Salvini e Giorgia Meloni per convincerla a non sfilarsi. Perché il sostituto procuratore generale della Corte d’appello, nonché commentatrice dei principali fatti di nera nel salotto di Bruno Vespa, era pronta a correre. Ma da sindaco. E basta. Così ora mette le cose in chiaro. Vuole garanzie: se si vince, non solo sarà vicesindaco, ma pretende deleghe ai Servizi sociali e alle Partecipate. Un accordo messo nero su bianco, magari davanti a un notaio.  

 
Ieri Enrico Michetti, il tribuno tutto Roma dei Cesari e dei grandi papi, ha incontrato Simonetta Matone per un caffè in un appartamento dalle parti di piazza del Popolo. 

 
I due non si erano mai visti e si sono scambiati le impressioni di chi si incrocia per sbaglio su un traghetto che sta per salpare. Oggi la strana coppia – tecnicamente sono un ticket – sarà presentata al tempio d’Adriano dal tridente Salvini-Meloni-Tajani. Ci sarà anche Vittorio Sgarbi, pronto a diventare, se tutto filerà liscio, assessore alla Cultura con programmi scoppiettanti, come quello di far diventare Roma un enorme Louvre a cielo aperto. Ma Matone, cosa pensa di tutto questo?

 

Il magistrato, innanzitutto, sta cercando di capire con i suoi uffici come muoversi: se chiedere l’aspettativa in caso di vittoria o se provare ad andare direttamente in pensione (le mancano due anni al traguardo). 

 
Fino all’ultimo è stata indecisa, questo sì. E ha pensato di ritirare il suo nome dalla corsa per il Campidoglio, una volta che si è resa conto di non aver vinto il ballottaggio. D’altronde in questi anni è stata già candidata un sacco di volte sui giornali: nel 2016 sempre al Campidoglio, nel 2013 alla Regione. Niente da fare entrambe le volte. Tempo forse guadagnato per la sua attività professionale e soprattutto per la sua visibilità mediatica, di cui è molto gelosa. Al punto di metterla sul tavolo in più occasioni nelle ultime settantadue ore. 
 

 

Matone è finita in mezzo al braccio di ferro tra Lega e Fratelli d’Italia. Salvini e Forza Italia le tiravano la volata, Meloni spingeva per il prof che per cinque anni le ha sparate un po’ grosse a Radio Radio, e a cui adesso tutti consigliano di stare calmo, di non esagerare, di volare un po’ basso per non cadere, o forse meglio sprofondare, nella macchietta.  

 
Comunque alla fine ha vinto Meloni. Sapendo anche il rischio che corre in prima persona, se l’esperimento alla prova delle urne non dovesse funzionare: “I romani mi conoscono e sanno che possono fidarsi di me”, ripete da quando ormai è tutto ufficiale la leader di Fratelli d’Italia, partito in ascesa, nato a Roma, ma non in grado di esprimere un uomo o una donna forte con tanto di marchio doc.  “Non voglio fare la comparsa e non mi sento la vice di nessuno”, continua a ripetere Matone in queste ore ai mondi romani che la chiamano per farle gli auguri. Sono i mondi dei salotti, ma anche quelli professionali dei ministeri in cui ha lavorato e del pianeta giustizia dove è molto stimata. Matone non è una sprovveduta e sa che alla fine se vincerà il centrodestra, il sindaco sarà Michetti. E sempre lui, come vuole il testo unico degli enti locali, distribuirà (e revocherà) le deleghe agli assessori.

 

Dunque la storia dei “due consoli che cavalcheranno insieme” e soprattutto del prosindaco rimangono un ballon d’essai. Da donna combattiva qual è si è fatta promettere che lei e Michetti saranno un corpo unico, usciranno insieme per le occasioni ufficiali, terranno mezza forbice ciascuno per i tagli dei nastri, saliranno contemporaneamente sullo stesso autobus quando ci sarà da fare un’inaugurazione. Per avere maggiore forza e non passare da cooptata sta pensando anche di correre: di chiedere le preferenze. Magari da capolista di Michetti. Tutto insomma pur di non dare l’impressione di essere una cooptata, una spalla o peggio ancora una donna schermo per attirare pezzi di elettorato scettici davanti al funambolico professore che ne ha per tutti. E sempre troppe. Oggi Matone parlerà e risponderà anche a Enrico Letta che l’ha subito attaccata, insieme al collega che corre a Napoli Catello Maresca, per le porte girevoli tra politica e magistratura. Non sarò una comparsa, ripete ormai con sempre maggiore frequenza.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.