La versione di Bobo

"Salvini passa, la magistratura resta". Staino pro referendum striglia il Pd "che si accoda"

"L'occasione di archiviare la fase del giustizialismo"

Marianna Rizzini

"Vogliamo perseverare nell'atteggiamento autolesionista del 'le masse non sono pronte'?". L'antipolitica e la tentazione di "nascondersi" dietro i giudici

La vignetta parla chiaro: “Ma tu firmi il referendum sulla giustizia dei radicali anche se c’è la  Lega?”. Risposta: “Bimba, Salvini passa, la magistratura resta”. E insomma Sergio Staino, papà di Bobo, storico vignettista di Linus, fondatore e direttore di “Tango” nonché direttore dell’Unità tra il 2016 e il 2017, oggi guarda allo scenario di un Pd che nicchia di fronte all’idea di firmare i referendum sulla giustizia (Enrico Letta ha detto: “Salvini non vuole fare la riforma con noi e con il referendum butta la palla in calcio d’angolo”) ed è preso da tormento: “Possibile, mi domando, possibile che nel partito di cui ho la tessera da cinquant’anni, e di cui ho visto tutte le evoluzioni e denominazioni, si perseveri in questo atteggiamento miope e autolesionista, della serie ‘le masse non sono pronte?”.

 

In che senso? “Stessa cosa ai tempi del referendum sul divorzio, il discorso che si sentiva fare era quello – ‘le masse non ce lo chiedono’ – e l’auto-giustificazione era che non si poteva rischiare di rompere il fronte comune con i cattolici. E invece, allora come oggi, il problema non è quello di istruire, ma quello di far crescere la qualità del dibattito, coltivando il dubbio, la discussione e il confronto. Questa dev’essere la nostra strada. Palmiro Togliatti dovette a un certo punto allearsi con i monarchici in vista dell’obiettivo urgente. Certo non siamo di fronte a una simile emergenza, ma il momento è importante”. Finalmente, dice Staino, “possiamo archiviare la fase del giustizialismo. Un male enorme la cui colpa non ricade soltanto su Beppe Grillo, ma in primis su di noi, e per noi intendo la sinistra che nell’aprile del ’93 è andata al’Hotel Raphael a tirare monetine. Lì nasce l’antipolitica, da quell’ipocrisia poi diventata il grido ‘onestà-onestà’ di Grillo. E insomma oggi io sono contento che sia arrivato Enrico Letta, ma caro Letta come fai a dire no a questo referendum? E che cosa vuol dire che c’è già all’opera Marta Cartabia? La cosa bella del referendum non è tanto la vittoria quanto l’apertura di un dibattito”.

A Staino non piace la propensione non nuova “ad accodarsi” a posizioni “discutibili”: “E finché l’abbiamo fatto con Nicola Zingaretti io ho criticato la dirigenza che andava con i grillini, per non dire del Goffredo Bettini che ora però sui referendum apre. Essere dalla parte di Salvini non mi preoccupa, al limite, quanto essere da quella di Bettini, uno che diceva ‘o Conte o nulla’. Sono sconfortato, in questo senso, e però ripeto: abbiamo di fronte una grande occasione, con il referendum. C’è Salvini? E allora? Casomai sarà un suo problema, casomai sarà lui in contraddizione, non noi”.

A Staino piacevano le dichiarazioni d’intenti di Letta sulle “agorà democratiche”, luoghi di dibattito e tappa verso il “partito nuovo”: “E che cos’è il referendum se non un’agorà? Finalmente abbiamo l’opportunità di approfondire nel merito alcuni grandi e urgenti temi anche grazie alla presenza del Pd, e di rimetterci in carreggiata dopo aver perso il senso del fare politica. E che cosa facciamo? Non firmiamo perché c’è Salvini? Quando la smetteremo di accodarci a certi moti di popolo? Vogliamo parlare, tanto per dirne una, del referendum sul taglio dei parlamentari, altro errore madornale? Bisogna eleggere persone valide, con un’anima politica, sennò hai voglia a ridurre: ti ritrovi con lo stesso problema che volevi demagogicamente risolvere”. E c’è, dice Staino, “una debolezza che vorrei veder presto scomparire, nella paura atavica di contaminarsi con il ‘nemico’: Silvio Berlusconi, e prima Bettino Craxi. Per decenni ci siamo nascosti dietro la magistratura, sperando ci togliesse le castagne dal fuoco. Non siamo ancora stanchi?”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.