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Scindersi all'infinito. In questo il M5s è davvero un partito di sinistra

Morra e Lezzi sperano nel fallimento di Conte. "Così il simbolo del Movimento lo usiamo noi". Contattato anche Dibba

Domenico Di Sanzo

Alle elezioni del 2018 elessero 339 parlamentari. Dopo tre anni ne hanno persi 101. Gruppuscoli e dissidenti, ortodossie e rifondazioni nell'attesa di Giuseppi. L'arte di dividersi che il grillismo ha appreso dalla sinistra

Scissione a pranzo. Così succede che nella bolgia del M5s, tra rinnegati, espulsi e ribelli, Nicola Morra prenoti un tavolo per due per un tête-à-tête con Alessandro Di Battista. Il filosofo calabrese e il descamisado di Roma Nord parlano fitto di ciò che potrebbe esserci oltre il Movimento 5 Stelle. Anzi, di come dovrebbe essere il nuovo M5s. Perché loro, come ripete Morra, ma anche Dibba, si considerano sempre grillini. Sono quegli altri, semmai, ad aver tradito. Ed ecco l'idea. Esposta dal senatore presidente della Commissione Antimafia anche ad alcuni altri espulsi, la sera prima della colazione di lavoro con Di Battista. Lo schema prevede che Giuseppe Conte, il rifondatore, vada a sbattere in una guerra legale senza uscita con Davide Casaleggio. L'ex premier, stufo, a un certo punto mollerebbe gli ormeggi per dar vita a un nuovo contenitore. A quel punto scatterebbe la mossa di Morra e dei suoi - che non si capisce ancora bene chi altri siano a parte Barbara Lezzi - cioè prendersi il simbolo del M5s con un blitz. Una guerra dove il più puro epura tutti i colpevoli di eccessivo pragmatismo. Proprio come nella migliore tradizione della sinistra. I grillini hanno cominciato brandendo l'equidistanza dalle categorie novecentesche della politica, eppure stanno finendo con la diaspora. In un tentativo riuscito di imitazione di ciò che succede a sinistra e a centrosinistra all'incirca dal 1921, quando i comunisti si staccarono dai socialisti, rei di riformismo e presunti compromessi con la democrazia liberale. Insomma, il neo-leader Conte non ha tutti i torti nel momento in cui vede un futuro del M5s insieme a Pd e compagni, maestri imbattuti della scissione.

Tentiamo di mettere ordine tra i rinnegati del grillismo.

Alle elezioni politiche del 2018 i Cinque Stelle elessero 339 parlamentari, 227 alla Camera e 112 al Senato. Ora il gruppo si è assottigliato a contare quota 238, 163 deputati e 75 senatori. Si sono persi per strada 101 "portavoce". Una bella cifra. Una scissione già avvenuta nei fatti, tra chi è stato mandato via e chi ha preferito andarsene con le proprie gambe. Gli ex grillini si possono trovare un po' dappertutto. In ogni gruppo c'è n'è almeno uno. Gli unici a non aver accolto transfughi del Movimento, a oggi, sono gli autonomisti altoatesini del Svp, Sudtiroler Volkspartei.

 

In Parlamento si dice che ultimamente parecchi delusi ancora dentro guardino ai rampanti Fratelli d'Italia di una Giorgia Meloni sempre più su nei sondaggi. Ma anche la Lega e il Pd hanno attratto e attrarranno qualcuno. Ci sono ex M5s in Azione di Carlo Calenda e addirittura in Forza Italia (il deputato Matteo Dall'Osso). Con la crisi del Conte bis e la ricerca dei responsabili, a gennaio due deputati, Fabio Berardini e Carlo Ugo De Girolamo, passano nella componente Centro Democratico del Gruppo Misto, con l'ex democristiano Bruno Tabacci. Il senatore Elio Lannutti, famoso per le sue frasi antisioniste, non è iscritto a nessuna componente ma serba il sogno di rimettere in piedi la vecchia Italia dei Valori. Altri "sovranisti" e ortodossi che non hanno votato la fiducia al governo di Mario Draghi hanno costituito L'Alternativa c'è. Così arriviamo di nuovo a Morra e soci. Il loro obiettivo è più ambizioso, perché vorrebbero prendersi il simbolo dei Cinque Stelle, magari con l'aiutino di Casaleggio. E Di Battista? Mistero fitto sul suo futuro. "Vedremo dopo settembre", ha fatto sapere. Prima c'è l'estate.

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