Il "rischio ragionato" di Draghi, tra vaccini e riaperture

Luciano Capone

Da un lato, sui vaccini, le istituzioni hanno assecondato le paure delle persone e dall’altro, sulle riaperture, ne hanno assecondato i desideri. Così il consenso politico prevale sulla valutazione tecnica di rischi e benefici

  “Con la decisione di oggi il governo ha preso un rischio, un rischio ragionato, fondato sui dati, che sono in miglioramento”, ha dichiarato il presidente del Consiglio Mario Draghi annunciando le riaperture di diverse attività a partire dal 26 aprile decise con il supporto scientifico della Cabina di regia. “Questo rischio che abbiamo preso e che sicuramente incontra le aspettative dei cittadini però si fonda su una premessa, che quei provvedimenti che governano il comportamento nelle attività riaperte siano osservati scrupolosamente”. Draghi cita molte volte la parola “rischio”, che è molto diversa dall’“incertezza” che paralizza qualsiasi decisione, e ci ricorda che il riavvio di numerose attività sociali ora proibite, dalla ristorazione all’aperto alla scuola in presenza, è possibile solo sotto determinate condizioni. Non esiste il “rischio zero”, ovvero la “sicurezza al 100 per cento”, è il sottotesto del messaggio di Draghi. Ciò non vuol dire “liberi tutti”, ma prendere e valutare i dati disponibili, soppesare rischi e benefici e fare scelte per cui i secondi siano superiori ai primi.

 

Ma se questo è il territorio scientifico-politico in cui le istituzioni prendono le decisioni, come si spiegano le sospensioni all’utilizzo dei vaccini? Quale “rischio ragionato” hanno calcolato il governo, l’Iss e l’Aifa quando hanno bloccato AstraZeneca e Johnson & Johnson? Rispetto alla riapertura delle attività socio-economiche, dove i dati sul contagio sono molto più incerti e dipendono dal rispetto di determinati comportamenti individuali e collettivi, sui vaccini il “rischio ragionato” è quantificabile con un margine notevolmente superiore di precisione. Si tratta, dicevamo, di circa 1 possibilità su 1 milione di subire un evento avverso a fronte del pericolo molto più elevato di ammalarsi gravemente e morire. Questo rapporto, poi, cambia nettamente se si considerano specifiche fasce: gli anziani sono quelli che più rischiano con il Covid e quelli che meno rischiano questi trombi rarissimi (che colpiscono prevalentemente giovani donne) con il vaccino anti Covid. Che senso ha avuto, allora, sospendere l’uso dei vaccini per tutti? Pur sapendo che ora vanno vaccinati gli over 60 (non le giovani donne) e, al limite, ove mai la correlazione con gli eventi avversi rari venisse confermata, il vaccino resterà consigliato per i più anziani? Dov’è il “rischio ragionato” del blocco prima di AstraZeneca e poi di Johnson & Johnson? Dov’è la “precauzione” che lascia centinaia di migliaia di persone esposte a un molto probabile rischio letale?

 

Non solo nel caso dei vaccini è molto più semplice quantificare rischi e benefici, ma è anche certo che questo rapporto sia oltremodo positivo rispetto a quello di qualsiasi riapertura. Su questo le decisioni politico-scientifiche sul “rischio ragionato” hanno mostrato una totale incoerenza. Com’è possibile? C’è una variabile, che non viene mai citata, ed è il consenso. Da un lato, sui vaccini, le istituzioni hanno assecondato le paure della gente e dall’altro, sulle riaperture, ne hanno assecondato i desideri. Lo ha implicitamente ammesso Draghi quando, sulle riaperture, ha parlato di una decisione che “incontra le aspettative dei cittadini”. Naturalmente il consenso è importante e non si può certo gestire un’emergenza del genere contro il volere della popolazione. Ma assecondare timori e desideri delle persone o farsi guidare dalle loro percezioni non vuol dire prendere “rischi ragionati”. A meno che, il significato dell’espressione sia da intendere sul piano politico più che scientifico.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali