Antonio Misiani (LaPresse) 

Riapriamo noi. Che cosa vuole il Pd nel nuovo decreto per le imprese

Caro Draghi, serve più del decreto sostegni per aiutare imprese e partite Iva a costruire un futuro. La versione di Misiani

Antonio Misiani*

Basta con gli stop and go, basta con il derby aperturisti-rigoristi. Tre punti per le ripartenze 

A più di un anno dall’inizio della pandemia, moltissimi italiani sono esausti, preoccupati, arrabbiati. Le manifestazioni rumorose di questi giorni – strumentalizzate da frange violente che vanno isolate – sono la punta di un iceberg. Per evitare di andarci addosso, siamo tutti chiamati, come suggerito su queste colonne dal direttore del Foglio Claudio Cerasa, a cambiare passo.


Come? Primo. Riaprire il prima possibile, ma in sicurezza e in modo irreversibile. La campagna di vaccinazione sta progredendo ma sconta le difficoltà di approvvigionamento a livello europeo e gli eccessivi divari a livello regionale.


Ora più che mai abbiamo bisogno di una catena di comando chiara: andare in ordine sparso non è accettabile e lo sforzo collettivo di tutto il paese deve andare nella direzione di accelerare al massimo la vaccinazione di anziani e fragili. Gli italiani chiedono un percorso il più possibile chiaro di fuoriuscita dall’emergenza. Basta con la lotteria delle date di riapertura alimentata dai populisti, basta con gli stop and go, basta con l’insopportabile derby aperturisti-rigoristi. E’ necessario che il governo concordi ed espliciti in tempi ragionevoli un calendario di allentamento delle misure di sicurezza, legandolo al conseguimento – regione per regione – degli obiettivi di vaccinazione, oltre che agli indicatori epidemiologici. 


Secondo. Un nuovo decreto per le imprese, il lavoro, le professioni. Il decreto “sostegni” ha dato risposte nel complesso adeguate su sanità, lavoro, povertà, enti territoriali. Ha generato invece molta insoddisfazione sul versante delle imprese e delle partite IVA. E’ stato importante superare la logica dei codici ATECO e impostare i ristori sui dati annuali e non di un singolo mese. Ma la platea si è allargata, riducendo di molto l’entità delle singole erogazioni nonostante uno stanziamento di ben 11 miliardi. Oggi il governo deciderà un nuovo scostamento di bilancio. Come Pd abbiamo chiesto (e lo ribadiamo) che queste risorse siano destinate innanzitutto al sistema produttivo, finanziando un decreto “imprese, lavoro, professioni”. Serve una nuova tornata di ristori, evitando di inventarsi nuovi meccanismi. Si replichi in modo automatico quello del decreto “sostegni”, magari maggiorando gli importi per alcune categorie più colpite, a partire da quelle costrette dallo Stato a limitare o interrompere la propria attività. Si intervenga sui costi fissi: affitti, bollette, tasse comunali, aiutando le imprese più in difficoltà a ridurli drasticamente. Si alleggerisca il peso del debito privato, un macigno che rischia di strozzare qualunque ripresa. Su 1,6 milioni di imprese e famiglie gravano 173 miliardi di prestiti tuttora congelati dalle moratorie in essere, che scadono a fine giugno. Vanno prorogate fino a dicembre, definendo un percorso di graduale fuoriuscita dall’emergenza. Le garanzie statali in questi mesi hanno permesso l’erogazione di 152 miliardi di prestiti a quasi 1,9 milioni di imprese, artigiani, autonomi e professionisti attraverso il Fondo di garanzia PMI e quasi 23 miliardi attraverso SACE. Molte imprese non riusciranno a restituirli nei tempi previsti, altre rischiano di vedere assorbiti gran parte dei margini per il servizio del debito, togliendo spazio agli investimenti. Serve un intervento strutturale per restituire ossigeno ai debitori, allungando i tempi di restituzione dei prestiti superiori a 30 mila euro da 6 a 15 anni (come è già stato fatto in legge di bilancio per quelli al di sotto di quella soglia) e prevedendo percorsi per consolidare almeno parte di questo debito, anche convertendolo in equity o quasi equity. E il lavoro dipendente? Il blocco dei licenziamenti scadrà tra giugno e ottobre. Bisogna evitare che il dopo blocco apra una voragine occupazionale, costruendo un patto tra le parti sociali che preveda un rafforzamento della rete di protezione (vedi alla voce: riforma degli ammortizzatori sociali) ma anche investimenti negli strumenti di gestione delle crisi aziendali e un taglio secco del costo del lavoro per le imprese che rinunceranno a licenziare. 


Terzo. Una “corsia veloce” per Next Generation EU. Investimenti (e riforme) sono la chiave per mettere l’Italia su un sentiero di sviluppo sostenuto, oltre che sostenibile. I soldi, una volta tanto, non mancano: gli oltre 200 miliardi messi sul piatto dall’Europa si aggiungono ai tanti fondi nazionali stanziati dal 2017 in avanti per gli investimenti pubblici. Il PNRR è in dirittura d’arrivo. Le audizioni e la discussione parlamentare hanno offerto contributi importanti, ora va chiuso e presentato in Europa. Detto questo, scrivere il piano migliore del mondo non servirà a nulla se non taglieremo drasticamente i tempi di realizzazione dei progetti di investimento (quasi 15 anni per opere pubbliche di valore superiore a 100 milioni di euro!). Questo nodo va sciolto e va sciolto adesso, altrimenti la nostra generazione verrà ricordata per aver sprecato un’opportunità storica e irripetibile. Non si tratta di gettare alle ortiche codice degli appalti e garanzie di trasparenza e tutela dei lavoratori. Si raccolgano le buone pratiche, che non mancano in giro per l’Italia, e le si utilizzino per creare una “corsia veloce” per i progetti di Next Generation EU. Se le cose funzioneranno a dovere, come è del tutto possibile che avvenga, l’Italia uscirà da questa crisi più moderna, più sostenibile, più giusta. 


*Antonio Misiani è senatore e responsabile Economia e Finanze della segreteria del Pd