Il retroscena

Roma, Conte rincuora Letta: "Faccio ritirare Raggi". Ma nel M5s non ci crede nessuno

L'ex premier stretto tra le comunali e la grana Rousseau. E intanto Di Battista insiste sul secondo mandato

Simone Canettieri e Valerio Valentini

Il futuro leader del Movimento ha detto al segretario del Pd che parlerà con la sindaca per convincerla a un passo indietro. Ma la grillina resiste e rilancia: i sondaggi sono con me

Al Pd dice che con Virginia Raggi ci parlerà lui. Che insomma proverà in tutti i modi a farla desistere, a spingerla a fare un passo indietro per propiziare così a Roma il primo laboratorio tra M5s e Pd. “Con Virginia ci parlo io”, promette Giuseppe Conte.

E non è un caso se poi Enrico Letta, confrontandosi con gli altri protagonisti di questo strano ballo del mattone intorno al Campidoglio, dove tutti si  sbracciano e si dimenano senza però muoversi davvero, si sia detto fiducioso che alla fine davvero il fu avvocato del popolo possa riuscire nel miracolo. E così anche Carlo Calenda, pressato dai suoi parlamentari che gli chiedevano riscontri dopo l’ultimo incontro col segretario del Pd, ha lasciato intendere che sì, “Letta ci crede davvero nella possibilità che la Raggi si faccia da parte”. Aggiungendo subito dopo, dice chi ci ha parlato, un disilluso “Mah”, come a esibire un certo scetticismo.   

E del resto lo stesso Conte, con la stessa voce con cui ha offerto garanzie al Nazareno circa la sua moral suasion per far ritirare la sindaca, rassicura la base grillina, che quella sindaca la adora, che Virginia  non si tocca, e spiega che è proprio in virtù dell sua stima nei riguardi della Raggi che l’ha voluta in diretta su Zoom la sera del suo debutto da quasi leader dei pentastellati. E lei quello spazio se l’è preso ben volentieri, per indicare la linea che il Movimento dovrà seguire nei prossimi mesi.
Accenni a ripensamenti? Manco per niente. E anzi, la sindaca pare sentirsi, almeno dentro il Raccordo, più forte dello stesso partito di cui è portavoce. E infatti quando di recente dal direttivo della Camera hanno contattato il Campidoglio per coordinarsi su alcuni temi delicati (“Virginia, sulla Bolkestein rischiamo di dire cose in contrasto tra loro”), lei ha lasciato che fossero i suoi collaboratori a spiegare che “sulle questioni di Roma la sindaca parla a nome degli interessi dei romani, punto”.

 

E del resto i sondaggi che l’irriducibile Max Bugani, il capo staff della sindaca, continua a sventolare, hanno fatto ricredere pure i ministri più scettici, sull’utilità di incaponirsi sulla Raggi. “In effetti tutte le rilevazioni che abbiamo in mano dimostrano che Virginia se la gioca, che quasi in ogni scenario arriverebbe almeno al ballottaggio”. E insomma, quand’anche volesse davvero, sarebbe difficile anche per Conte far desistere la Raggi.  

Senza contare, poi, che gli slanci di buona volontà dell’ex premier si scontrano  con una serie di imprevisti che forse neppure lui, sempre cauto e prudente, aveva ben calcolato quando ha deciso di accettare l’investitura di Beppe Grillo come futuro capo del Movimento. “Proprio sapendo che abbiamo davanti una sfida importante come le amministrative dobbiamo lavorare con determinazione per darci una prospettiva chiara”, ha detto Conte ai deputati riuniti in assemblea, domenica. Ma la verità è che la trattativa con Davide Casaleggio sembra non muoversi affatto: Rousseau e i grillini si guardano in cagnesco, ma anche il ricorso ai tribunali è complicato, oltre che doloroso. Lo statuto del Movimento è legato a doppia a mandata a Rousseau. Al momento, non c’è un capo politico legalmente riconosciuto in grado di intraprendere un’iniziativa giudiziaria nei confronti del figlio di Gianroberto, custode della piattaforma (da cui passano tutte le decisioni per statuto) e soprattutto del database con la vita degli iscritti.

Teoricamente Vito Crimi non è titolato ad adire le vie legali in quanto il suo mandato di capo politico è terminato nel momento in cui gli iscritti hanno votato su Rousseau l’organo collegiale, opzione che adesso viene rimangiato in quanto dovrà essere Conte il nuovo deus ex machina del Movimento.  Ma intanto tutto è fermo, o quasi. Salvo le schermaglie quotidiane di Casaleggio che continua a tenere alto il tema dei due mandati, ultimo tabù da non far cadere. Problema non secondario per l’ex premier e che vede allineato su questo fronte anche Alessandro Di Battista. Già pronto, del resto, a gridare allo scandalo nel caso in cui da Conte dovesse arrivare un tentativo di dissuadere la Raggi. La quale certo, per l’idea che l’ex premier vorrebbe dare di sé e del nuovo corso grillino, non pare un grande biglietto da visita. Né, del resto, l’ingombro capitale di quella che perfino Nicola Zingaretti considera “una minaccia per Roma” è un buon viatico sulla strada che dovrebbe portarlo a benedire il connubio tra Pd e M5s. Lui, per ora, tentenna. “Entro la fine di questa settimana darò un segnale di svolta e iniziamo a lavorare sul serio”, ha detto Conte ai pochi parlamentari grillini che con lui hanno modo di parlare. E che non hanno potuto fare a meno di notare che questa frase è da parecchie settimane, che Conte la ripete.
 

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