Il racconto

Pd di Letta e di governo. I senatori sfidano il segretario: "Siamo pronti alla conta"

Il nuovo leader del Nazareno non molla per il ricambio ai vertici dei gruppi e intanto incontra a Palazzo Chigi Mario Draghi

Simone Canettieri

Marcucci e Base riformista tentati dalla resa dei conti. Alla Camera verso il rinvio, Serracchiani in pole position per il dopo Delrio

Gioca a tutto campo, Enrico Letta. “Adrenalina a mille”, dice chi gli sta vicino. E così mentre il gruppo di Base riformista si riunisce su Zoom per tentare una resistenza sul capogruppo in Senato Andrea Marcucci (“siamo pronti ad andare in montagna!”), il neo segretario del Pd varca il portone di Palazzo Chigi che ben conosce. Un’ora di colloquio “su metodo e temi” con Mario Draghi. Dunque a Palazzo Madama si macerano i senatori di Lotti & Guerini che rivendicano “autonomia”, ma intanto Letta toglie il rumore di sottofondo parlando con il premier. Diranno poi al Nazareno che “tra i due esiste da tempo un rapporto di consuetudine” e che quindi non bisogna stupirsi: discutono di Recovery, pandemia, vaccini, Consiglio europeo e anche di come fare affinché il governo non si polarizzi  sugli scontri Lega-Pd. Poi certo, chissà, le nomine imminenti. 

Con la spinta della luna di miele di chi vuole cambiare tutto, il segretario chiamato a riattaccare i cocci rischia di fare in due settimane quanto non riuscì a Zingaretti in due anni: limitare la presa di Base riformista e Area Dem (Franceschini) sul partito, ma anche e soprattutto sul governo. Sulla vicenda dei capigruppo ormai non si torna indietro: si cambia, e si cambia con due donne. Dopo un giro di telefonate vorticose si decide però che il giorno del blitz non sarà oggi, giornata in cui Letta incontra prima i deputati (9.30) e poi i senatori (15.30). Anche in serata Marcucci fa trapelare di essere pronto a fari votare oggi. Un blitz contro il blitz? 
La riunione di Base riformista (20 senatori su 36) termina con intenti bellicosi. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini non c’è: è in missione in Somalia. Ma i suoi uomini sono in guerra. Marcucci dice che se sarà confermato lui o sarà eletto un altro del gruppo non spetterà a Letta deciderlo. Da qui la voglia di tentare la sfida (voce fatta girare ieri sera, ma forse solo per alzare la tensione e arrivare a un rinvio) 

Valeria Fedeli se la prende invece con Andrea Orlando in quanto ora difensore del ricambio rosa, ma non lo era prima quando c’era da decidere la squadra dei ministri. Voci varie chiamano le truppe alla riscossa, alla resistenza, alla montagna. Nella giornata gira anche il nome di Simona Malpezzi, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, che però dovrebbe dimettersi dal governo per diventare capogruppo. E c’è chi insinua: al suo posto potrebbe andare Marcucci. Se Base riformista dovesse incartarsi ci sarebbe sempre l’ipotesi di Roberta Pinotti, ex ministra della Difesa, vicina a Franceschini. Sono scenari di una situazione abbastanza ingarbugliata dove la voglia del braccio di ferro c’è, eccome. 

E forse è anche l’intervento di Guerini dall’Africa a evitare che oggi in Senato ci sia il primo incidente di Letta con il Pd. D’altronde anche alla Camera la situazione è frizzante: Graziano Delrio, anche lui avvisato di sfratto via intervista dal neo segretario, non sprizza gioia. Per Montecitorio si balla su una mattonella con Debora Serracchiani (favorita), Marianna Madia e Paola De Micheli. Rinvio, malumori e maldipancia anche da queste parti. Ma non come in Senato dove il tormentone “aridatece Zingaretti” gira nei corridoi, in memoria dei tempi così autonomi da sembrare anarchici, se non vicini quasi al sabotaggio.

Ma queste dinamiche non interessano a Letta, tornato con il piglio del caterpillar, ma anche dell’indispensabile. Per i renziani le porte sono aperte (“ritornano a mercato chiuso e senza nulla in cambio”, dicono dal Nazareno), con la sinistra di Bersani e Speranza si rafforza la voglia di costruire una casa comune. Manca solo il M5s, che aspetta Conte, dato per risorto, giustamente, a Pasqua. O subito dopo. 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.