Il racconto

Renzi e i tormenti di Iv: 4 parlamentari verso il Pd e Matteo medita il passo di lato

I travagli di Italia Viva che non riesce a schiodarsi dal 2,5% e i dubbi del suo leader. Le truppe iniziano a scalpitare, il richiamo del Nazareno è forte

Simone Canettieri

L'ex premier ha annunciato di essere disponibile a mettersi di parte. Intanto due senatori (Comencini e Grimani) ritornano con i dem. Altrettanti contatti alla Camera. Sabato l'assemblea e l'appello a Letta: scegli noi o il M5s

"Ragazzi, sono pronto a un passo indietro. Ci sto pensando”. Sussulto generale. E un po’ di parlamentari di Italia Viva, che hanno spento la telecamera tenendo la modalità vivavoce per cucinarsi nel frattempo un piatto di spaghetti, ripiombano davanti al computer. Il sugo può aspettare. L’acqua bolle? Spegniamola. Non è detto che poi lo faccia, Matteo Renzi. Però l’ex premier ci pensa davvero. “Un passettino” di lato. D’altronde Iv è come quella pentola dell’acqua: bolle. Quattro parlamentari pronti a tornare nel Pd, paturnie  diffuse. Domani ci sarà l’assemblea. Poi Renzi volerà in Africa per  conferenze. Tolo Tolo. Cioè da solo.  

 

Non bisogna essere scienziati della politica per registrare come Italia viva non riesca a decollare. (“Ha i’ piombo nelle ali”, gli ha detto in fiorentino anche un suo amico). Nonostante la manovra perfetta per arrivare al governo Draghi. L’ultima mossa del cavallo. E invece niente. “Sempre al 2,5 per cento siamo e in più tutti i tentativi di grande centro non vanno avanti: Calenda ci insulta dalla mattina alla sera”, dice un deputato renziano, consapevole di quanto sia permaloso il Capo e di quanto si segni sempre tutto. Quindi chiede – e ottiene – l’anonimato. 

 

Quello che quasi tutti pensano, ma nessuno ha il coraggio di dire fra le truppe di Iv è proprio questo: “Non è che Matteo ci porta dritti a sbattere contro un muro?”

  
Va fatta una premessa: Renzi parla e condivide le sue cose con gli amici di sempre. E cioè Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi. In più c’è Luciano Nobili, primo turborenziano della Capitale con Roberto Giachetti, un po’ Davide Faraone, Ivan Scalfarotto e Teresa Bellanova.
Ma poco. Poi stop. Con tutti gli altri rapporti cordiali – “Matteo sa essere simpaticissimo come tutti i toscani” – ma li tiene all’oscuro di tutto. Basti pensare a quando decise di ritirare la delegazione di Iv dal governo Conte: c’erano parlamentari con una storia, come Matteo Colannino, che brancolavano nel buio. E chiedevano informazioni ai giornalisti: “Che facciamo? Usciamo? Che ne sapete?”.

 
L’uomo dunque è così: imprevedibile. “Lasciate fare a me”. Solo che l’arrivo di Letta al Nazareno ha risvegliato i malumori e ritirato fuori le valigie che erano state messe in un angolo: i senatori Eugenio Comencini e Leonardo Grimani hanno detto ad Andrea Marcucci che rientreranno nel Pd. Per il capogruppo dem, accusato di essere un renziano in sonno, un bel biglietto da visita quando martedì incontrerà il segretario del partito che vorrebbe sostituirlo.

 

Poi ci sono le voci critiche, anche queste date in partenza, tipo il senatore Mauro Marino e i deputati Marco Di Maio (che stupendo caso di omonimia per un renziano) e Camillo D’Alessandro. In generale, un po’ tutti  dicono a Renzi di guardare a questo nuovo Pd in ottica Ulivo. E anche lui è d’accordo, dice. E domani dirà a Letta di scegliere tra il centrosinistra e i grillini. Ma non è escluso, appunto, che qualcuno intanto cerchi di tornare direttamente alla casa madre. Nel nome “del riformismo del nuovo segretario e del nuovo corso del Pd”. I politici non hanno un grande catalogo di scuse quando devono mollare una barca poco sicura. Ma la sensazione diffusa è questa dentro a Iv: smarrimento. “Matteo, dove andiamo?”. Su questo punto, Renzi non dice parole definitive: si appresta a giocare l’ultima partita che gli interessa, quella per l’elezione del capo dello stato. Potrebbe fare grandi numeri, roba spaziale, da calcio brasiliano. Sulla manovra parlamentare è hors catégorie.

 

Allo stesso tempo sa che la spinta propulsiva di Italia viva è pari  a un rubinetto che sgocciola. 

 
La deputata Silvia Fregolent, preoccupata per le elezioni nella sua Torino, sempre l’altra sera glielo ha proprio detto: “Se andiamo soli alle comunali dobbiamo mettere il tuo nome nel simbolo, altro che passo indietro, se non c’è il tuo nome non ci conosce nessuno”. Ma forse il problema è proprio questo, e siamo sempre lì. E l’attività da conferenziere dell’ex premier (domenica è dato in partenza per Senegal e Kenya, poi forse anche Ruanda) fa venire dubbi ai suoi parlamentari, specie quelli meno stretti. In ballo, dicono dentro Iv, c’è sempre la storia del segretario generale della Nato. Chissà. Intanto, in molti (le seconde linee) confessano di essere stanchi di essere braccati solo per interviste solo sul caso “Arabia Saudita” e  per quel siparietto con il non proprio democratico Bin Salman. Renzi è euforico per l’effetto Draghi sulla politica italiana (“Nel 2023 il M5s non ci sarà più”), ma è convinto che forse, questa volta, un passo indietro, una esposizione minore, può fargli solo che bene. Iv può aspettare. Il sugo no: a qualcuno l’altra sera si è bruciato.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.