Le elezioni in Campidoglio

Roma, la grande buca: primo inciampo per Letta, Bertolaso la schiva, Raggi è a suo agio

Le voragini che punteggiano la Capitale come emblema: la politica si tiene alla larga dal Comune e quando invece ci prova va in tilt e si fa male

Simone Canettieri

La prima grana del segretario del Pd con il caso Gualtieri, la destra brancola nel buio, Calenda non si muove. L'unica è la grillina convinta di sfruttare questa corsa a ostacoli degli avversari

Enrico Letta l’ha chiamata “polpetta avvelenata”, ma altro non era che una buca. Anche bella grossa. Una delle tante voragini metafisiche che puntellano la Capitale. Arredo urbano, ma anche fatto politico sostanziale, ormai. Roma è percepita come una grande buca, un pozzo nero.

Un tranello e dunque un inciampo dove se ci cadi dentro  ti fai male. Si spiega  così la surreale vicenda di Roberto Gualtieri, ex ministro dell’Economia. Per il Pd romano e laziale era fatta per la sua candidatura a sindaco, ma per Letta no e per il diretto interessato ora nì. I due si sono visti al Nazareno e hanno concordato che se ne riparlerà – semmai – ad aprile.  Prima ci sarebbero le primarie di coalizione, l’AstraZeneca dei dem, necessarie per sopravvivere ma temute per psicosi collettiva. E poi Carlo Calenda dove lo mettete? Attenzione, c’è una buca.


In questa buca Capitale c’è chi ci sguazza: è la sindaca Virginia Raggi, talmente a proprio agio nel contesto, da essere pronta a rimanervi altri cinque anni. Intorno a lei, si muovono a destra, a sinistra e al centro una quantità di candidature che fanno un passo avanti e due indietro. E comunque appena annusano il pericolo cambiano strada. Guido Bertolaso, che fu uomo del fare cerca di ripetersi in Lombardia contro il Covid con risultati finora contestati, ma giusto ieri ha ribadito: “Io a Roma? No, grazie, già dato”. E quindi pericolo scampato, forse. Per la poca gioia di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi che pensavano di averci messo una toppa a questa voragine del Campidoglio, ma si ricomincia da capo e toccherà a  Giorgia Meloni fare la prima mossa, appena riunirà il tavolo della coalizione, le cui gambe, si spera, non finiscano su un asfalto scosceso. Molti si defilano, pochi tengono la posizione. Come Calenda che nella sua comfort zone ha capito di poter essere fondamentale: se c’è lui, ma c’è il Pd, il ballottaggio rischia di essere un miraggio per tutti. Tuttavia il leader d’Azione per il momento non si muove costringendo  Letta  a trattare. 

E così il segretario Pd, che ha nominato due vice ben bilanciati come Peppe Provenzano e Irene Tinagli, si trova a pattinare su questo paesaggio lunare. Altro che Cremlino, il palazzo di Testaccio dove abita: Roma è Kabul. Letta lo sa e ne ha avuto la conferma.

D’altronde disse di no all’offerta di Nicola Zingaretti (fuori, a sua volta, da questa lotta) di correre per il Campidoglio  e ora al debutto da leader ha avuto subito a che fare con questo piano inclinato e bucherellato: l’Urbe. “Grazie, Enrico sto ancora riflettendo”, si ritrae a sera  l’ex ministro dell’Economia dopo il faccia a faccia mattutino al Nazareno. Un passo indietro per farne due in avanti fra un mese?

Forse sì, ma anche no. Prima il segretario vuole parlare con Calenda per tastare il terreno (attento!), ma soprattutto vuole vedere Giuseppe Conte. L’avvocato del popolo, che fu anche prof. di Raggi, dovrebbe convincere la sindaca  al gran rifiuto (non quello che si trova nei cassonetti dell’Ama) nel nome della futura alleanza progressista. Sarebbe questo sì, il più bello dei regali da portare in dote al Pd da parte dell’ex premier rossogiallo. Solo che Raggi è così mimetizzata nel paesaggio urbano da essere convintissima ad andare avanti. Dritta sparata almeno fino al ballottaggio e poi si vedrà. E’ gasata nonostante tutto, la “regina di Roma”, come la chiamano su Facebook i suoi  amici (quasi 1 milione), gli stessi che hanno mandato alle stelle  il suo post sugli arresti per i rifiuti in regione Lazio (14mila condivisioni, record che fomenta tutti in Comune dove si vive anche di queste cose, e molto, forse troppo). 

Grillo la chiama “Virginia guerriera” e  nemmeno lui, altro che Conte, riuscirebbe a farla desistere dal tentativo di bis.  Ma anche Grillo è una comparsa in questa storia: dice una cosa perché gliela chiedono e subito gira alla larga. Hai visto mai ricadesse in una buca, come gli capitò, sul serio, durante un corteo nel novembre del 2016? E così cambiano i governi, i leader di partito, ma la situazione no. E’ tutto un grande “ahó, attento che cadi”.
  

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.