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Non basta essere sapiente o tecnico, il politico deve essere saggio e scaltro

Sergio Belardinelli

Il discorso di Mario Draghi rivisto in filigrana: dare un limite al compromesso e misurarsi con i risultati (non con la conservazione del potere) sono segnali di fiducia per il governo che verrà

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In questi giorni abbiamo sentito porre spesso la questione se il governo Draghi sia da intendere come un governo tecnico o come un governo politico. Ma si tratta di una questione mal posta. Come può infatti un governo non essere politico? Tutti i governi lo sono, a prescindere da chi li guida. Nel caso del governo Draghi può colpire il fatto che il presidente del Consiglio sia stato scelto al di fuori degli schieramenti politici, ma è certo che il suo governo sarà un governo politico e che, in quanto tale, andrà giudicato non tanto sulle competenze tecniche di chi lo guida e di chi ne fa parte, bensì sui fatti, sui risultati positivi che saprà conseguire per il paese. Lo ha detto lo stesso Draghi, dimostrando di essere ben consapevole della realtà con la quale si appresta a misurarsi: la politica, appunto. Una realtà che non richiede soltanto conoscenza o abilità tecniche, ma anche scaltrezza e soprattutto saggezza, quella che i greci chiamavano phronesis, la capacità di deliberare ogni volta nel migliore dei modi, sapendo che “l’ottimo è il peggior nemico del buono”.

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In questi giorni abbiamo sentito porre spesso la questione se il governo Draghi sia da intendere come un governo tecnico o come un governo politico. Ma si tratta di una questione mal posta. Come può infatti un governo non essere politico? Tutti i governi lo sono, a prescindere da chi li guida. Nel caso del governo Draghi può colpire il fatto che il presidente del Consiglio sia stato scelto al di fuori degli schieramenti politici, ma è certo che il suo governo sarà un governo politico e che, in quanto tale, andrà giudicato non tanto sulle competenze tecniche di chi lo guida e di chi ne fa parte, bensì sui fatti, sui risultati positivi che saprà conseguire per il paese. Lo ha detto lo stesso Draghi, dimostrando di essere ben consapevole della realtà con la quale si appresta a misurarsi: la politica, appunto. Una realtà che non richiede soltanto conoscenza o abilità tecniche, ma anche scaltrezza e soprattutto saggezza, quella che i greci chiamavano phronesis, la capacità di deliberare ogni volta nel migliore dei modi, sapendo che “l’ottimo è il peggior nemico del buono”.

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Considerato che la complessità della politica suggerisce di stare alla larga sia dall’idea che, per risolvere al meglio i nostri problemi, basti affidare il governo a coloro che sanno, i tecnici (la variante odierna dei filosofi al potere di cui parlava Platone), sia dall’idea che viceversa in politica uno vale uno e che quindi rivolgersi a un tecnico rappresenta un’inaccettabile distorsione democratica; considerato altresì che proprio su queste idee si basano molti dei giudizi che si danno oggi su Mario Draghi e sul suo governo; considerato tutto questo, credo che qualche chiarimento sulla complicata natura dell’oggetto di cui stiamo parlando possa essere utile. Come dicevo sopra, un agire politico degno del nome esige sempre abilità tecnica, scaltrezza e saggezza. Ci vuole competenza tecnica, poiché “tecnici” sono la maggior parte dei problemi sui quali deve decidere la politica. Si pensi ai problemi indicati da Draghi nel suo discorso programmatico per ottenere la fiducia del Parlamento: la pandemia e il modo di contrastarla, i piani per il rilancio economico del paese, la transizione ecologica, la scuola e via di seguito. La cosa può anche disturbare qualcuno, ma oggi nessuna politica seria può fare a meno dei cosiddetti esperti.

 

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Ugualmente indispensabile è un certo pragmatismo, unito alla capacità di convincere la gente ad accettare determinati programmi o determinate decisioni (ecco la scaltrezza e la necessità di una comunicazione adeguata). Ma nessuna decisione politica è semplicemente tecnica o semplicemente pragmatica. La costruzione di un ponte è un problema tecnico, colui che ne calcola la portata deve essere soltanto un ingegnere competente, ma dove costruire quel ponte, se farlo progettare a un geometra o a Renzo Piano, se rispettare o no certi criteri ambientali, se scontentare o no quei cittadini che lo vorrebbero altrove, tutto questo è politica. E’ materia che richiede, non soltanto competenza e duttilità rispetto agli scopi che si vorrebbero perseguire e agli interessi che sono in gioco, ma anche e soprattutto responsabilità, diciamo pure, saggezza e convinzioni morali che si sa di dover adattare alla situazione, alle diverse opzioni tecniche e a ciò che è pragmaticamente possibile, ma non a qualsiasi costo.

 

Può succedere infatti che, a furia di adattamenti tecnici e tattici per andare incontro agli elettori, l’uomo politico perda di vista gli scopi che intendeva perseguire e, proprio come ha detto Mario Draghi, utilizzi la maggior parte del suo tempo per la mera conservazione del potere. Ma questa sarebbe appunto cattiva politica, una politica praticata da uomini privi di responsabilità e di vere convinzioni morali. Una convinzione morale non è qualcosa che possiamo aggiustare a nostro uso e consumo, quasi che sia compatibile con qualsiasi nostro atteggiamento. Dobbiamo certo sempre confrontarla con la realtà, onde evitare di cadere in forme di astrattezza più o meno ridicole, ma non possiamo piegarle a tutto. Quando, a conclusione del suo discorso in Parlamento, Mario Draghi ha detto che l’unità è oggi “un dovere”, alludeva forse a qualcosa del genere. E’ di fronte ai nostri doveri che siamo veramente liberi; possiamo assumerli o rifiutarli; tutto dipende veramente da noi; e la libertà appare per ciò che è: la ratio essendi della vita morale, direbbe Kant.

 

Ritornando al discorso di Draghi, mi è sembrato di capire che egli sia ben consapevole del fatto che in politica sono necessarie abilità speciali sia in senso tecnico che pragmatico; forte del suo indiscusso prestigio tecnico, ha forse addirittura esagerato un po’ in scaltrezza, distribuendo motivi di compiacimento a tutte le forze politiche che stavano per dargli la fiducia; ma non ha mai dato l’impressione di essere pronto a piegarsi a tutto pur di rimanere dov’è, né di esagerare con motivazioni moralmente troppo alte. E questo, con i tempi che corrono, dove il moralismo e il cinismo sembrano farla sempre più da padroni, mi sembra un importante motivo di fiducia e di speranza.

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