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Non solo Mise. La ragnatela di Giorgetti nei palazzi del governo

Valerio Valentini

Per comprendere la centralità del nuovo ministro dello Sviluppo economico bisogna guardare a quelli che il leghista ha dislocato lontano da via Veneto

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Roma. Ci sono, certo, quelli che ha chiamato con sé. E sì che andranno tenuti d’occhio. Ma forse, per comprendere la centralità di Giancarlo Giorgetti nelle trame di questo governo, bisogna guardare innanzitutto a quelli che lui, la testa d’uovo del leghismo che vuole mondarsi la coscienza, ha dislocato lontano da quella via Veneto in cui opera e lavora. Daria Perrotta, ad esempio, era già pronta a seguire Giorgetti al Mise, riannodando i fili di una collaborazione che s’era interrotta con la crisi del Papeete. Si conoscono sin da inizio secolo: da quando, cioè, il bossiano di Cazzago Brabbia era presidente della commissione Bilancio della Camera e, tra i collaboratori del capo dei funzionari di quella commissione (cioè Daniele Cabras, ora consigliere di Sergio Mattarella) c’era appunto una giovane documentarista, che quindici anni dopo sarebbe diventata consigliera giuridica della ministra Maria Elena Boschi. Il tutto prima che Giorgetti, da sottosegretario alla Presidenza del Consigli, nel 2018 si ricordasse di lei e la chiamasse nel suo staff a Palazzo Chigi. Dove resterà, adesso, come capo di gabinetto di Roberto Garofoli, sottosegretario di Mario Draghi, garantendo a Giorgetti un canale di comunicazione diretto col Sancta Sanctorum del governo.

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Roma. Ci sono, certo, quelli che ha chiamato con sé. E sì che andranno tenuti d’occhio. Ma forse, per comprendere la centralità di Giancarlo Giorgetti nelle trame di questo governo, bisogna guardare innanzitutto a quelli che lui, la testa d’uovo del leghismo che vuole mondarsi la coscienza, ha dislocato lontano da quella via Veneto in cui opera e lavora. Daria Perrotta, ad esempio, era già pronta a seguire Giorgetti al Mise, riannodando i fili di una collaborazione che s’era interrotta con la crisi del Papeete. Si conoscono sin da inizio secolo: da quando, cioè, il bossiano di Cazzago Brabbia era presidente della commissione Bilancio della Camera e, tra i collaboratori del capo dei funzionari di quella commissione (cioè Daniele Cabras, ora consigliere di Sergio Mattarella) c’era appunto una giovane documentarista, che quindici anni dopo sarebbe diventata consigliera giuridica della ministra Maria Elena Boschi. Il tutto prima che Giorgetti, da sottosegretario alla Presidenza del Consigli, nel 2018 si ricordasse di lei e la chiamasse nel suo staff a Palazzo Chigi. Dove resterà, adesso, come capo di gabinetto di Roberto Garofoli, sottosegretario di Mario Draghi, garantendo a Giorgetti un canale di comunicazione diretto col Sancta Sanctorum del governo.

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In quelle stanze ci sarà anche un’altra persona con cui il ministro dello Sviluppo ha una certa confidenza. Perché Roberto Chieppa era in effetti tra i non molti reduci dell’esperienza gialloverde che, pur restando tra i collaboratori fidati di Giuseppe Conte, godesse ancora della stima di Giorgetti (un altro è certamente Carlo Massagli, ex consigliere militare di Giuseppi e ora vice direttore dell’Aise, mentre all’Aisi, tra i vicedirettori è certamente Carlo De Donno quello più vicino al leghista). Li accomuna, Chieppa e Giorgetti, la passione per la montagna. E se da qualche giorno può vantare il record di essere il primo segretario generale di Palazzo Chigi a restare in carica in tre governi consecutivi, Chieppa lo deve forse, oltre alla buona considerazione che di lui hanno al Colle, anche al suo saper lavorare bene con tutti senza farsi risucchiare nel gorgo delle logiche di partito.

 

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Dal Dagl di Chigi Giorgetti ha chiamato a sé, invece, Stefano Varone, che l’ufficio legislativo del Mise lo conosce bene per averlo già diretto con Carlo Calenda. Dalla Farnesina ha invece pescato, come consigliere diplomatico, Paolo Dionisi, ambasciatore che fu vicino a Gianni Letta ed era poi finito nell’ombra per via di certi inciampi giudiziari. Chi invece si pensava in procinto di doversi trasferire al Mise ed è rimasto deluso è Giuseppe Chinè. Deluso mica tanto, in verità. Perché il consigliere di stato e procuratore capo della Figc è stato invece dirottato, non senza il consenso di Giorgetti, al Mef, dove sarà capo di gabinetto di Daniele Franco. Il vicesegretario del Carroccio lo conosce bene, e fu lui a suggerirlo a Marco Bussetti come capo di gabinetto al ministero dell’Istruzione.

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