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Salvini fa il gioco dell'infiltrato

Claudio Cerasa

Salvini si ritrova  con la golden share di una maggioranza che gli somiglia poco ma dove il suo partito sarà decisivo per definire tutto: il futuro della legislatura, della destra e  anche del Pd. Un’indagine 

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Sarà pure un’impostura. Sarà pure un’illusione. Sarà pure una finzione. Sarà pure un inganno. Sarà pure un abbaglio. Sarà pure un Infiltrato. Ma per quanto possa far sorridere, l’adesione incondizionata di Matteo Salvini a un’agenda di governo moderata, europeista, anti nazionalista, anti lepenista, anti trumpiana e in definitiva anti salviniana, la verità è che la svolta dell’ex ministro dell’Interno più che indurre a una semplice derisione dovrebbe invogliare tutti, anche i nemici di Salvini, a una riflessione seria su cosa significhi per il sistema politico italiano avere una Lega che ridisegna il perimetro del centrodestra italiano.

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Sarà pure un’impostura. Sarà pure un’illusione. Sarà pure una finzione. Sarà pure un inganno. Sarà pure un abbaglio. Sarà pure un Infiltrato. Ma per quanto possa far sorridere, l’adesione incondizionata di Matteo Salvini a un’agenda di governo moderata, europeista, anti nazionalista, anti lepenista, anti trumpiana e in definitiva anti salviniana, la verità è che la svolta dell’ex ministro dell’Interno più che indurre a una semplice derisione dovrebbe invogliare tutti, anche i nemici di Salvini, a una riflessione seria su cosa significhi per il sistema politico italiano avere una Lega che ridisegna il perimetro del centrodestra italiano.

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Non sappiamo se la svolta durerà davvero (oggi sul Foglio, nell’inserto II, pubblichiamo la differenza tra i discorsi che Salvini faceva nel 2019, quando diceva a proposito dell’Europa “io non voglio un’Italia schiava di nessuno, non voglio la catena lunga come i cagnolini, non voglio catene”; quando prometteva che mai avrebbe governato “con Renzi, Boschi e Lotti”; quando assicurava “che noi ammucchiate non ne faremo”; quando giurava che “per noi mai col Pd rimane mai col Pd: ripeto, per noi mai col Pd rimane mai col Pd”, prima di ritrovarsi a far parte di un governo europeista sostenuto da un’ammucchiata comprendente anche il Pd, Renzi, Boschi e Lotti). E non sappiamo neppure quando Salvini entrerà nella modalità “che fai non mi cacci” (un ministro importante di Forza Italia sostiene che Salvini proverà a far cadere questo governo insieme con Forza Italia prima ancora che si arrivi all’elezione del nuovo inquilino del Quirinale). Ma ciò che sappiamo oggi è che la trasformazione della Lega è il fatto politico più interessante della stagione di Draghi che può produrre a cascata una serie di conseguenze che vale la pena affrontare.

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La prima conseguenza ha a che fare con il futuro del centrodestra (che numeri alla mano, almeno al Senato, ha la golden share del governo Draghi: su 262 sì ricevuti due giorni fa a Palazzo Madama i sì dell’intergruppo formato da Pd-M5s e Leu valgono 108 senatori mentre la coppia Lega e Forza Italia ne vale 111, e ancora una volta al Senato l’ago della bilancia sarà il gruppo guidato da Renzi che ha 18 senatori) e non c’è dubbio che se la svolta di Salvini dovesse mostrare una certa continuità il percorso di Lega e Forza Italia potrebbe intrecciarsi al punto da far nascere un nuovo soggetto politico (Forza Lega) attraverso la fusione del partito di Salvini con quello del Cav.

 

E questo processo, conseguenza numero due, potrebbe indurre il partito di Berlusconi ad assecondare una precisa tentazione della Lega, che al governo è entrata non solo per darsi una ripulitina ma anche per sabotare ogni tentativo da parte delle altre forze politiche di sostituire l’attuale legge elettorale con una nuova legge proporzionale (a carnevale, come ripete da giorni il professor Stefano Ceccanti, muore la proporzionale). Un sabotaggio che non dispiacerebbe neppure al segretario del Pd, Nicola Zingaretti, con cui il leader della Lega ha un ottimo rapporto e con cui condivide un obiettivo inconfessabile in pubblico: fare di tutto affinché l’esperienza delle intese larghissime del governo Draghi sia a tempo e non di legislatura (cosa che però, a giudicare dalla scansione degli impegni di questo governo, non sembra pensare il nuovo premier) e fare il possibile affinché l’esperienza di questo esecutivo aiuti non solo a rimettere in sesto il paese ma anche a creare le condizioni per far maturare all’interno del perimetro di questa maggioranza un nuovo e maturo bipolarismo.

  
Il terzo effetto della svolta moderata dell’Infiltrato (che come tutte le svolte improvvise può finire con la stessa velocità con cui è iniziata) ha a che fare con il riflesso che questa svolta può avere sul futuro del centrosinistra e in particolar modo sul Pd che di fronte a un Salvini non più trumpiano, non più anti europeista, non più nazionalista, non più sfascista si ritrova improvvisamente ad avere di fronte un avversario nuovo a tal punto da rimettere in discussione la propria identità. In questi anni, la forza del Pd di Nicola Zingaretti è stata quella di essere l’opposto di quello che rappresentava il partito guidato da Salvini – difesa dell’Europa, protezione dell’euro, senso delle istituzioni.

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Ma davanti a una rivoluzione copernicana del centrodestra (rivoluzione avvenuta anche grazie alla spinta degli stessi imprenditori del nord che il Partito democratico in assenza di una nuova Lega avrebbe potuto rappresentare meglio di Salvini) è evidente che il Pd dovrà trovare un modo ben più accattivante dell’algebra (l’intergruppo parlamentare con il M5s e Leu) per provare a fare quello che dovrebbe essere più nelle sue corde che in quelle della Lega: fare propria l’agenda Draghi.

 

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Il gioco dell’Infiltrato – che verrà corteggiato oltre che da Nicola Zingaretti anche da Matteo Renzi, che proverà a triangolare con il centrodestra, magari sulla giustizia, per cercare di scardinare l’alleanza tra Pd e M5s – è un gioco che ha rimescolato l’agenda della politica italiana, che ha ridefinito gli assetti del centrodestra, che ha spostato l’asse della maggioranza un po’ più lontano dalla maggioranza che ha governato con Conte. E’ un gioco spericolato, guidato più dall’agenda Zelig che dall’agenda De Gasperi, ma è il gioco giusto da seguire per provare a capire i tempi della legislatura, per provare a capire il destino di Draghi, per provare a capire il futuro del Pd, per provare a capire verso che direzione si muoveranno gli elettori del nord e per provare a capire se il gioco della Lega con Forza Italia (Giancarlo Giorgetti e Gianni Letta) è fatto solo per commissariare il salvinismo o è fatto direttamente per commissariare Salvini. Comunque andrà sarà uno spettacolo.

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