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Dopo la giravolta

Salvini alla prova di una complicata disintossicazione chiamata Draghi

Salvatore Merlo

Il presidente del Consiglio dice “euro irreversibile” e il leghista applaude. Come Totò quando prendeva gli schiaffi

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Draghi gli dice che l’euro è “irreversibile”, e lui risponde che “Draghi ha sempre ragione”. Quello gli dice che non si farà la flat tax, bandiera leghista, che la fiscalità deve restare progressiva. E lui esulta: “La Lega c’è”. Poi gli dice pure che il sovranismo è roba da baluba perché “non c’è sovranità nella solitudine”. E lui applaude. “Ottimo punto di partenza”. E insomma in Senato Matteo Salvini sembrava Totò quando rideva mentre un tale gliele dava di santa ragione chiamandolo “Pasquale”. Quello lo picchiava, e lui incassava e rideva felice perché “tanto io non sono mica Pasquale!”

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Draghi gli dice che l’euro è “irreversibile”, e lui risponde che “Draghi ha sempre ragione”. Quello gli dice che non si farà la flat tax, bandiera leghista, che la fiscalità deve restare progressiva. E lui esulta: “La Lega c’è”. Poi gli dice pure che il sovranismo è roba da baluba perché “non c’è sovranità nella solitudine”. E lui applaude. “Ottimo punto di partenza”. E insomma in Senato Matteo Salvini sembrava Totò quando rideva mentre un tale gliele dava di santa ragione chiamandolo “Pasquale”. Quello lo picchiava, e lui incassava e rideva felice perché “tanto io non sono mica Pasquale!”

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Come infatti va ripetendo da giorni Giancarlo Giorgetti nelle sue conversazioni private “c’è un Salvini di prima e c’è un Salvini di poi”. C’era insomma una volta il Salvini in felpa no euro, quello che voleva farsi esplodere al Parlamento di Bruxelles, tutto Putin e Trump, Kim Jon Un e Marine Le Pen, e c’è adesso un altro Salvini, occhialuto e democratico, un tizio che prova a prendere le distanze dal personaggio che un tempo portava il suo nome. Uno che infatti può dare ragione tranquillamente a Mario Draghi, votandogli la fiducia, mentre il presidente del Consiglio conferma al ministero dell’Interno la signora Luciana Lamorgese, cioè il ministro che ha cancellato i famosi decreti Salvini. Tanto io non sono mica Pasquale! Non sono mica Matteo! E infatti: “Questa sì che è un’èra di cambiamento”. Di trasformazione. Specie per lui. Il Salvini “di poi”, che sorride e applaude mentre Draghi, parlando di fronte all’Aula del Senato, compone un mosaico meraviglioso fatto tutto con i  sogni infranti del Salvini “di prima”.

 

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Tuttavia, poiché Matteo Salvini non è Totò né Macario e nemmeno Nino Frassica, ma è bensì il segretario del primo partito italiano, allora forse la faccenda va presa maledettamente sul serio. “Gli hanno fatto capire che per sedersi a tavola deve usare coltello e forchetta”, è la sintesi che fa un ministro del Pd. “Per lui questo governo è come la dialisi”, la pulizia del sangue, dice un altro. Brutali. Tuttavia è, all’incirca, anche quello che qualche giorno fa a Salvini ha detto uno specialissimo e acuto consigliere: il Cardinal Ruini. L’anziano porporato domani compirà novant’anni, portati su un corpo affaticato e una mente assai lucida. E a Salvini ha detto questo, più o meno: bisogna passare oggi da Draghi per arrivare legittimati, domani, a Palazzo Chigi.

 

Come recita un vecchio detto: “Il troglodita non era un troglodita, rispecchiava solo il livello della civiltà dell’epoca”. E allora se l’epoca di prima richiedeva la felpa, il rutto e la ruspa, ecco che Salvini si attrezzava. Ma sconfitto Trump, tramontata l’austerità, iniziata la pandemia, ecco che la nuova epoca richiede un nuovo linguaggio e persino una nuova estetica cui riadattarsi per sopravvivere. Anche a costo di sembrare - per un po’ - goffi e incongrui come quegli omaccioni che nei paesi di mare dopo una giornata passata sul molo si ripuliscono per la festa del battesimo. E infatti, nei suoi ambigui rapporti con Draghi, a Salvini non cessa d’alitare attorno un’aura di alienità, che gli impregna abiti, lessico, accento e contegno. Un bofonchiamento affiora qua e là nelle sue dichiarazioni. Un neppure tanto nascosto imbarazzo. “Le discussioni sull’euro le lascio agli accademici. Io mi occupo di fatti”. Non ci si può trasformare da rospo in principe in una notte. E non c’è bacio di Draghi che basti al sortilegio. Col tempo chissà. L’alternativa però era di finire a Sant’Elena. E senza essere stato Napoleone.

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