Draghi presenta il suo "governo del paese"

Carmelo Caruso

L'appartenenza, il futuro, i progetti, lo "spirito repubblicano". E un momento di commozione quando parla dei numeri della pandemia. Ecco il “contratto di cittadinanza” del premier, che pensa a una Nuova Ricostruzione, come nel Dopoguerra

L’ha chiamato “governo del paese”, ha ricordato a Matteo Salvini che “sostenere questo esecutivo significa condividere l'irreversibilità della scelta dell'euro". E ha toccato le corde nascoste. Si può dire? È stato complesso e rigoroso. Si può dire che quando ha pronunciato questa frase: “Uscire dalla pandemia non sarà come ripristinare la corrente”, quando ha spiegato che “Fuori dall'Europa c'è meno Italia, non c'è sovranità nella solitudine", quando ha aggiunto: “il tempo del potere può essere sprecato se si pensa solo a conservarlo” tutti i giornalisti si sono guardati in faccia, i senatori pure e, a casa, chi seguiva la diretta, si è chiesto “Chi è lui davvero?”.  

   

Mario Draghi è entrato al Senato quando l’orologio segnava le 10,03 e a Roma il cielo era in guerra con il sole. E sono state “considerazioni finali” che è la parola più decisiva per annunciare l’inizio di qualcosa. Significa che l’esordio è il risultato di un cammino lungo e inatteso. Il suo è un lungo viaggio lontano dall’Italia. Draghi si è seduto. Aveva accanto Giancarlo Giorgetti e Stefano Patuanelli. Alla sua destra e alla sua sinistra. La sagoma di Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza, la sagoma alta e stretta, gli stava davanti e nascondeva la sua. Draghi scompariva. Bisognava cercarlo con gli occhi. I suoi invece cosa cercavano?

   

Draghi studiava il luogo e gli uomini. Ha ringraziato subito il presidente Sergio Mattarella, ha parlato della pandemia che “è la nostra trincea”. Si è meritato il primo applauso ed è stata una liberazione quando ha promesso che ogni chiusura del paese sarà comunicata con “sufficiente anticipo”. E rivelava la sua emozione che “per la prima volta è più intensa perché mai ho assunto una responsabilità così ampia”. Ha ringraziato Giuseppe Conte. Ha rifiutato le formule “governo dei migliori” perché “non serve nessun aggettivo che definisca quello che nasce. Ha invocato semplicemente lo “spirito repubblicano”. Ha citato Cavour perché “le riforme compiute a tempo rafforzano l’autorità”. Si è aiutato anche lui con le domande. Ne ha fatta una all’Italia. La rivolgeva ai padri: “Abbiamo fatto tutto per i nostri figli? I giovani non dovranno ringraziarci per il nostro lavoro e non rimproverarci per il nostro egoismo”. E ha ricordato il solco europeo, l’alleanza atlantica, anzi “questo governo sarà convintamente europeista”. E chiari erano gli ancoraggi: alleanza atlantica, Nato. Erano schiaffi a Salvini. Salvini ne è consapevole?

    

Il discorso si è allargato perché voleva essere un “contratto di cittadinanza”. Draghi ha “raccontato” allora la sua idea di scuola che deve tornare a un orario normale e recuperare le ore perdute. Ha proposto “innesto di nuove materie”. Ha citato Papa Francesco: “Siamo stati noi a rovinare l’opera del signore”. Ed è stato poi come correre. Proteggere il futuro dell’ambiente.Digitalizzazionecloud, biodiversità, sfida poliedrica. Erano tutte parole del lessico draghi come aver scacciato l’ipocrisia sulle quote rosa: “non serve un farisaico rispetto delle quote. Vuole un coinvolgimento vero. Ha introdotto nel discorso la riforma Ipef, la lotta all’evasione fiscale, il coinvolgimento dei privati. E ancora la riforma della pubblica amministrazione.

   

Poi ha detto che “l’unità non è un’opzione ma un dovere e che “questo governo non può fare bene senza il sostegno del parlamento. Il discorso di Mario Draghi non voleva essere stupendo, non voleva essere magnifico, non voleva essere storico e tutta quella paccottiglia che in particolare modo, quando si scrive di lui, si utilizza. Questo piace ai giornali stranieri che lo descrivono come il meno italiano. Il discorso di Draghi è stato nuovo e non significa nè meglio e ne peggio del passato. Nuovo. Turati scriveva con cura ma poi andava a braccio. Togliatti, come racconta Gabriele Pedullà in “Parole al potere” (Rizzoli), aveva una “prosa didattica, punteggiata di riferimenti al dovere sostenuta da un’intelligenza affilata fino al cinismo”. Draghi appartiene invece alla famiglia dei “secchi” italiani. Gli affilati: Dossi, Ceronetti, Pontiggia.

   

Tutti citano il “whatever it takes” ma nessuno conosce le parole che seguirono che sono forse ancora più importanti e decisive: “Faremo tutto il necessario e, credetemi, sarà abbastanza”. E non è adulazione, come gli imbecilli senza leader scrivono sui loro fogli, dire che in passato, in Italia, puro era l’italiano di Minghetti. Tatjana Rojc la senatrice del Pd che il Pd aveva prestato ai responsabili, una che studia la lingua spiega che la prosa scabra gli ha ricordato Ungaretti. Sono solo tentativi di rendere familiare qualcosa che non si conosce ancora. Come quando nasce qualcuno e si fa il gioco “ma a chi somiglia? ”.

    

Draghi non era il Draghi enigma. Aveva bisogno di mostrarsi per questo è stato più lungo di quanto aveva preventivato. Ha avuto un momento di commozione.  Sapete quando? Quando parlava di numeri. Ed era la conferma che per lui era la giornata più che particolare. Quando ha finito di leggere il suo testo, e il Senato lo ha applaudito, ha chiesto: “Mi dite voi quando devo sedermi”. Era il più bravo della classe che chiedeva ai “compagni” quando potere tornare a posto. 

  

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio