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Scegliere, non mediare

Draghi e la trappola dell’unanimità

Dai licenziamenti ai lockdown. Perché il successo di Draghi passa da una rivoluzione difficile ma necessaria: ascoltare tutti, decidere da solo. L’altro lato delle larghissime intese

Claudio Cerasa

L’inazione, ha detto la scorsa estate Mario Draghi durante il suo discorso al Meeting Di Rimini, ha essa stessa conseguenze e non esonera dalla responsabilità. Il futuro dell’Italia in fondo passa da qui: non dal farò di tutto per farvi stare buoni, ma dal farò di tutto per farvi stare con me

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Ci state o no? Alla fine della giornata di oggi – un secondo dopo aver osservato il pallottoliere di Palazzo Madama, che con ogni probabilità farà segnare il più alto numero di voti mai ricevuti da un presidente del Consiglio nel nostro paese – ci sarà una domanda importante che attraverserà i pensieri degli azionisti di maggioranza del governo Draghi. E quella domanda coincide  un problema politico non di poco conto sintetizzabile con quattro semplici parole: ma andrà sempre così? Il nuovo governo, lo sappiamo, nascerà con numeri da record. Ma ciò che nel tempo risulterà chiaro relativamente al metodo Draghi è che rispetto alla maggioranza che sarà l’ex governatore della Bce avrà un approccio molto diverso da quello che ci si potrebbe attendere, che sarà il vero tratto di discontinuità tra la stagione passata e quella futura: la non mediazione.

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Ci state o no? Alla fine della giornata di oggi – un secondo dopo aver osservato il pallottoliere di Palazzo Madama, che con ogni probabilità farà segnare il più alto numero di voti mai ricevuti da un presidente del Consiglio nel nostro paese – ci sarà una domanda importante che attraverserà i pensieri degli azionisti di maggioranza del governo Draghi. E quella domanda coincide  un problema politico non di poco conto sintetizzabile con quattro semplici parole: ma andrà sempre così? Il nuovo governo, lo sappiamo, nascerà con numeri da record. Ma ciò che nel tempo risulterà chiaro relativamente al metodo Draghi è che rispetto alla maggioranza che sarà l’ex governatore della Bce avrà un approccio molto diverso da quello che ci si potrebbe attendere, che sarà il vero tratto di discontinuità tra la stagione passata e quella futura: la non mediazione.

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La vera sfida politica di Draghi, programmi a parte, sarà dimostrare di essere più un risolutore che un mediatore e sarà quella di riuscire di volta in volta a prendere decisioni non creando un’impossibile sintesi tra le volontà dei vari partiti ma provando a convincere i singoli partiti dell’inevitabilità delle sue scelte. Un conto è lavorare per avere a disposizione la base parlamentare più ampia possibile. Un altro  è lavorare affinché ogni scelta del presidente del Consiglio sia caratterizzata dall’unanimità. Quando un governo ha un sopporto molto ampio, la ricerca a tutti i costi della collegialità può trasformarsi in una politica dell’immobilismo. E per questo c’è da aspettarsi che lo stile del governo Draghi sia molto simile a quello avuto durante le consultazioni: si ricevono tutti, si ascoltano tutti, ci si confronta con tutti, si parla con tutti, se serve anche con il Wwf, ma alla fine le decisioni sono di una sola persona che deve occuparsi di offrire un percorso al paese e non di essere l’amministratore del condominio Italia. E’ l’approccio scelto da Draghi durante i colloqui con i partiti (ogni partito ha fatto arrivare una propria rosa di candidati per i ministeri ma il presidente del Consiglio non sempre ne ha tenuto conto). E’ l’approccio scelto per la scrittura del suo discorso di oggi (ogni ministro ha fatto arrivare un proprio contribuito ma non tutti i contribuiti saranno valorizzati). Ed è l’approccio che il nuovo capo del governo dovrà necessariamente adottare quando si tratterà di prendere alcune decisioni importanti e naturalmente divisive.

 

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Quando si tratterà di scontentare qualcuno promuovendo nuovi lockdown (il ministro Roberto Speranza ha fatto recapitare sulla scrivania del presidente del Consiglio un rapporto che indica una ripresa  dei contagi a inizio marzo con un nuovo picco previsto per metà del prossimo mese). Quando si tratterà di scontentare qualcuno mettendo mano alla riforma della prescrizione (la nascita delle maggioranze variabili, vedi la formazione di ieri dell’intergruppo parlamentare tra Pd-M5s e Leu, sarà una delle caratteristiche della nuova maggioranza, e il futuro della giustizia sarà uno dei primi test per misurare la tenuta dei gruppi trasversali). Quando si tratterà di scontentare qualcuno rimuovendo a fine marzo il blocco dei licenziamenti (Draghi tra poche settimane dovrà decidere se assecondare la richiesta dei partiti della sua maggioranza di rinviare per tutti il divieto licenziamento fino a giugno, per scavallare la campagna elettorale delle amministrative, o se disegnare da subito una strategia di ritorno alla normalità in cui industria e edilizia, per esempio, possono tornare a essere flessibili e in cui al settore dei servizi si offre per esempio la cassa integrazione fino alla fine dell’anno con il divieto di licenziamento fino all’estate, come suggerito in tempi non sospetti ai collaboratori del premier da Marco Leonardi, uno dei consiglieri economici dell’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri).

 

Il governo delle larghe intese, per non cadere nella trappola dell’immobilismo in cui si è trovato in diverse circostanze il governo Conte, dovrà dunque fare di tutto per non essere a tutti i costi il governo della concordia. E la speranza di successo del metodo Draghi in fondo dipenderà anche da questo: dalla capacità di ascoltare tutti, ma dalla volontà di decidere da solo. L’inazione, ha detto la scorsa estate Mario Draghi durante il suo discorso al Meeting Di Rimini, ha essa stessa conseguenze e non esonera dalla responsabilità. Il futuro dell’Italia in fondo passa da qui: non dal farò di tutto per farvi stare buoni, ma dal farò di tutto per farvi stare con me. In sintesi: ci state o no?

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