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Il testo della fiducia

La brevità di Draghi. Parole, metodo e idee del discorso che sarà

Antiretorico, niente collage di contributi

Carmelo Caruso

I contenuti e le parole del testo che Mario Draghi leggerà al Senato per chiedere la fiducia. Uno stile inedito per l'Italia. Niente aggettivi "super" ma il richiamo al servizio, al capitale umano, al coraggio del decidere. Non vuole piacere a tutti i costi

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Sarà davvero il parlare inedito perché sarà il parlar preciso. Non vuole fare un grande discorso ma un discorso senza l’aggettivo “grande”. E spiegherà che anche il superlativo “Supermario” è un guasto nazionale insieme alla retorica e all’ampollosità che non sopporta così come non sopporta le fotografie, le inutili cerimonie che sono a suo parere tempo ritardato. Domani, quando Mario Draghi chiederà la fiducia, non si gonfierà il petto ma proverà a sgonfiare la lingua. Potrebbe utilizzare le sue parole mondo: conoscenza, coraggio, umiltà. Un discorso che non dovrebbe superare le quindici cartelle.

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Sarà davvero il parlare inedito perché sarà il parlar preciso. Non vuole fare un grande discorso ma un discorso senza l’aggettivo “grande”. E spiegherà che anche il superlativo “Supermario” è un guasto nazionale insieme alla retorica e all’ampollosità che non sopporta così come non sopporta le fotografie, le inutili cerimonie che sono a suo parere tempo ritardato. Domani, quando Mario Draghi chiederà la fiducia, non si gonfierà il petto ma proverà a sgonfiare la lingua. Potrebbe utilizzare le sue parole mondo: conoscenza, coraggio, umiltà. Un discorso che non dovrebbe superare le quindici cartelle.

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Non ha mai oltrepassato questa misura perché preferisce strizzare i concetti anziché appesantirli. Basterà mezz’ora. Si sa già che il testo del Senato sarà lo stesso della Camera perché dicono che Draghi non ami le varianti e i mezzi innesti. E dicono ancora che starebbe selezionando e leggendo tutti i contributi che in queste ore i ministri gli stanno inviando e che prediliga quelli asciutti come è asciutto lui quando scrive. Pochissime subordinate. Periodare breve. Nessuna metafora. Nessuna enfasi. La parola nazione è preferita alla parola patria.

 

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Non significa che Draghi utilizzerà questo concorso di idee e suggerimenti. Significa solamente che li riceve e che ne farà l’uso che meglio ritiene. Potrebbe anche non servirsene. Mario Monti, nel 2011, per accontentare i partiti, decise di assemblarli e fonderli nel suo intervento. Ma Draghi ha un altro costume. L’altro giorno quando un vecchio amico, uno che ha sul serio un’intesa antica, gli ha chiesto se gradisse il suo supporto, si è sentito rispondere: “Ho una certa dimestichezza. Credo non serva”. E gli ha spiegato, sempre con cortesia, che da premier non ha nessuna intenzione di andare in televisione che non è la cattiva maestra del filosofo ma uno strumento che non crede sia necessario: “La televisione non aggiunge ma toglie. Questa è la mia opinione”.

 

Non è vero che sarà difficile raccontare questo premier. E non è vero neppure che detesti il racconto. Non è però il suo genere. Non scriverà mai romanzi che è cosa diversa dall’apprezzarli. Ieri, ha scelto come suo capo di gabinetto Antonio Funiciello che aveva ricoperto lo stesso incarico con Paolo Gentiloni. E’ il più enciclopedico e il meno polveroso dei funzionari. Se non avesse voluto la densità di un’intelligenza non lo avrebbe di certo indicato. Potrebbe riconfermare a segretario generale Roberto Chieppa che non era un uomo di Giuseppe Conte come si è troppe volte scritto ma un servitore valido e leale. Competenza, affidabilità, rigore. Sono qualità che per Draghi meritano fiducia. In tutti i suoi discorsi, quelli che il Foglio ha ripubblicato, trapela una profonda ammirazione per tutti coloro che sanno distaccarsi e ragionare con scetticismo. Insomma, servire.

 

Sono indizi che lasciano immaginare come mercoledì, Draghi, nel suo discorso, possa fare riferimento a Carlo Azeglio Ciampi. Nel 2006 nelle sue “prime considerazioni finali del governatore” c’era un passaggio importante sulle palestre di indipendenza. Scriveva: “Nella Banca d’Italia che, da Einaudi a Ciampi, ha dato presidenti della Repubblica, presidenti del Consiglio, ministri, ho trovato un luogo di eccellenza dove profondamente è sentita la nobiltà del servire l’interesse pubblico”.

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Durante le consultazioni, non a caso, si è lasciato aiutare da una donna che in Bankitalia segue la comunicazione. Diverso è il ruolo dei pensatori da cui potrebbe invece attingere. Tra quelli che Draghi ha sempre letto e consultato c’è l’economista Francesco Giavazzi. Perché dovrebbe smettere di farlo adesso? Perché non dovrebbe utilizzare le sue analisi, il suo sguardo attento proprio oggi? C’è un discorso modello che raccontano Draghi abbia ripreso. E’ quello tenuto all’Università Cattolica di Milano pochi mesi prima di lasciare la Bce. Ci sono frasi che sono perfette per la sfida “decidere di non agire significa fallire”. C’è l’importanza del coraggio perché “la conoscenza non è tutto e la tentazione di non decidere è frequente”. Le pause potrebbe farle quando parlerà di “giovani”, “capitale umano”, “trasformazione” e “fiducia”. Sarà allora che potrebbe unire la parola fiducia con la parola ottimismo e spiegare che quel risparmio che gli italiani hanno accumulato durante la pandemia, circa 160 miliardi, deve essere adesso sprigionato e investito. La verità è che non solo non cercherà l’applauso ma che la sua è un’avversione per la meccanica del “bravo!”. Non vuole essere ammirato ma studiato.

 

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