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La rivolta nel Pd

Donne al governo, non è quello il punto. Parla Eva Cantarella

"Colpisce piuttosto l'altro dato, quello sulle donne che hanno perso il lavoro nel 2020"

Marianna Rizzini

Beppe Sala dice "arrabbiarsi è giusto", Emma Bonino invita a "non aspettare la cooptazione per gentile concessione"

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Ventitré ministri, quindici uomini e otto donne. Il tempo di fare i conti (ma bastava il colpo d’occhio della foto del giuramento), e nel Pd, che all’interno del governo Draghi conta appunto tre ministri uomini, la questione è esplosa, tanto più che ieri pomeriggio doveva svolgersi la Conferenza delle Democratiche, presieduta da Cecilia D’Elia, e tanto più che nel partito già si individuano due tendenze.

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Ventitré ministri, quindici uomini e otto donne. Il tempo di fare i conti (ma bastava il colpo d’occhio della foto del giuramento), e nel Pd, che all’interno del governo Draghi conta appunto tre ministri uomini, la questione è esplosa, tanto più che ieri pomeriggio doveva svolgersi la Conferenza delle Democratiche, presieduta da Cecilia D’Elia, e tanto più che nel partito già si individuano due tendenze.

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C’è chi dice: vediamo se il segretario Nicola Zingaretti manterrà la parola sul fatto di proporre soltanto nomi femminili per i posti di sottosegretario e viceministro, e chi dice che il problema è a monte, nel non essersi neanche resi conto, e che il “danno” dei ministri tutti uomini, se liquidato con una compensazione di seconda fila, potrebbe essere controproducente.

 

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Non solo: da un lato si chiede la convocazione urgente della Direzione, dall’altra si guarda al futuro e indietro nel tempo in cerca di una linea efficace: su Repubblica Luciana Castellina rievocava, per criticarla e autocriticarsi con il senno del poi, l’epoca in cui si sforzava di mortificare il proprio aspetto per “essere come gli uomini”, mentre Concita De Gregorio poneva il tema dell’“ecco perché dobbiamo smettere di essere scelte” (e di “pretendere quote” se poi “si resta in attesa della decisione dei maschi”).

 

Intanto, da Milano, il sindaco pd Beppe Sala dava ragione alle donne che si sentono offese dalle scelte ai vertici del partito e si augurava però un allontanamento dal pericolo: usare i nomi femminili come riempilista. “Arrabbiarsi è giusto”, diceva, “è una delusione”. Mentre la senatrice Monica Cirinnà, in radio, a “Un giorno da pecora”, insorgeva contro il proprio partito “falsamente femminista”. Si sta centrando o no il vero punto?

 

La storica e giurista Eva Cantarella, che ha a lungo studiato il tema dell’identità femminile e del ruolo della donna nel mondo antico, oltre alle origini delle discriminazioni di genere, trova piuttosto “singolare che ci si sia soffermati sul numero di ministri donna e non ci si sia soffermati invece su un altro dato che a me sembra molto preoccupante: dei lavoratori che hanno perso il posto nell’anno di pandemia 2020, il 98 per cento sono donne. Eppure questo dato non ha provocato levate di scudi come la parità di genere nel nuovo governo. E io dico: lo scarso numero di donne nella compagine di governo — sia che dipenda da un problema di leadership sia da equilibri di corrente — non mi colpisce quanto l’altro. Ma come, mi domando, tutte le conquiste fatte nell’ultimo secolo rispetto ai millenni precedenti ci portano qui, a questo terribile 98 per cento? E la cosa non fa scalpore?”.

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Non è questione di quote, dice Cantarella: “Intendiamoci: le quote sono state fondamentali in alcune momenti  e in alcuni luoghi, penso all’America post-segregazione razziale. E però, per esempio, parlo per me, io volevo riuscire nella mia carriera, un tempo ancora soprattutto maschile, perché studiavo ed ero brava, non perché donna. Quanto alla nomina di ‘donne sottosegretario’, verrebbe forse da dire provocatoriamente ‘no grazie’ se dietro quella nomina non c’è tanto un riconoscimento di eccellenza  — come dire: sono le più brave in campo, in quel campo —  quando una scelta di qualche uomo per riparare, riequilibrare, rispettare un numero di presenze: è come se si dicesse ‘una vale l’altra’”.

 

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E ieri, mentre dalla Conferenza delle Democratiche usciva la richiesta di “convocare il comitato politico in vista del completamento della squadra di governo”, Emma Bonino, a Radio 1, consigliava di “non aspettare la cooptazione per gentile concessione”, ché il tema “necessita di attenzione duratura e persistente”. 
 

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