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Il caso

La "decontizzazione" di Draghi: fuori Giuseppi e tutti (o quasi) i suoi scudieri

Viaggio tra gli esclusi di Pd e M5s: tra delusi e rabbiosi

Simone Canettieri e Valerio Valentini

Nel nuovo governo non c'è posto per l'ex premier ma nemmeno per i ministri che gli furono più vicini: Bonafede, Fraccaro, Azzolina, Gualtieri e Boccia

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Non c’è Giuseppe Conte, e sai che sorpresa. Ma alla fine non ci sono nemmeno tutti quei ministri che a vario titolo erano diventati i paladini dell’avvocato del popolo, i guardiani dell’ortodossia. Coloro che fino all’ultimo hanno provato a immolarsi per la causa, ad agitare le elezioni, a guidare la fronda anti-Draghi. Nel M5s escono a sorpresa i due gemelli del gol: Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, l’ombroso sottosegretario alla presidenza del Consiglio e il bis ministro della Giustizia, che in entrambe le esperienze di governo tanto ha fatto penare gli alleati (sia quelli della Lega, sia quelli del Pd) creando crisi politiche a destra e a sinistra.

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Non c’è Giuseppe Conte, e sai che sorpresa. Ma alla fine non ci sono nemmeno tutti quei ministri che a vario titolo erano diventati i paladini dell’avvocato del popolo, i guardiani dell’ortodossia. Coloro che fino all’ultimo hanno provato a immolarsi per la causa, ad agitare le elezioni, a guidare la fronda anti-Draghi. Nel M5s escono a sorpresa i due gemelli del gol: Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, l’ombroso sottosegretario alla presidenza del Consiglio e il bis ministro della Giustizia, che in entrambe le esperienze di governo tanto ha fatto penare gli alleati (sia quelli della Lega, sia quelli del Pd) creando crisi politiche a destra e a sinistra.

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Una decontizzazione moderata, certo, visti i molti ministri del BisConte confermati, tra cui Federico D’Incà e di Stefano Patuanelli, fedelissimi del premier che fu. E però la cesura c’è. E infatti tra gli esclusi del Pd figurano pezzi importantissimi del contismo giallorosso. Il primo è Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia: anema e core, secondo i veleni del Nazareno, con l’ormai ex premier. Fatale la gestione finale del Recovery, possibile ora la sua corsa per il Campidoglio. Esce di scena anche Francesco Boccia, centrale in questo anno di pandemia nel tormentato rapporto con le regioni, e dioscuro del conterraneo Giuseppi: “I governi non si fanno nei salotti”, ha sostenuto fino all’ultimo l’ex ministro dem.  


Se si pensa all’epopea di Conte l’aria di cupio dissolvi c’è, eccome. E’ palpabile. E non solo perché a Palazzo Chigi arriverà Roberto Garofoli (sottosegretario) che con il nuovo ministro dell’Economia Daniele Franco vennero inseriti da Rocco Casalino in un celebre audio come “quei pezzi di merda del Mef”, all’epoca del primo governo gialloverde. Sale nell’ascensore politico che vede il contismo al pian terreno Vittorio Colao che non più tardi dello scorso gennaio si sfogò così con questo giornale: “Potevamo accelerare i tempi, essendo partiti quest’estate, certo. Ma è presto per dare giudizi visto che il lavoro, quello del Recovery, ancora non è stato concluso. Di sicuro, al di là di telefonate con i vari ministri, chiacchiere informali, non c’è stato un follow-up ufficiale tra la nostra commissione e il governo”. Chi sale e chi scende, insomma. Con Giuseppe Conte sempre più in lontananza. Il M5s esce con le ossa abbastanza rotte. Lasciano la seggiola i ministri periclitanti per eccellenza come Bonafede e Lucia Azzolina e quelli che non hanno mai inciso: la madrina dell’app Immuni (che fine ha fatto?)

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Paola Pisano, Nunzia Catalfo, titolare del Lavoro, ma anche Sergio Costa, impalpabile all’Ambiente. Discorso diverso per Vincenzo Spadafora, passato da cerimoniere dell’abbraccio tra Pd e M5s, al primo dei grandi esclusi.

Tutti dicevano Conte I love you. Nel Pd, dove il misurino è bastato solo a tutelare le tre macroaree del partito, se ne vanno ministri come Paola De Micheli (“Sono la Kamala bianca”, diceva nelle riunioni private la regina delle Infrastrutture per darsi forza e resistere alle voci di rimpasto che la perseguitavano). Ma anche Peppe Provenzano, titolare del Sud ed Enzo Amendola, non proprio vicinissimi al segretario dem Nicola Zingaretti. Non è un ciaone, ma un sacrificio, forse, quello richiesto a Teresa Bellanova. 
Se ne vanno dunque un po’ tutti così, pronti a reclamare ingiustizie e mancate protezioni da parte dei rispettivi leader di partito. Adesso rimangono i posti di sottogoverno: viva viva i sottosegretari.
       

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