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Chi è Daniele Franco, nuovo ministro dell'Economia

Stefano Cingolani

Silenzioso e affidabile ma non chiamatelo falco dell’austerity. Nel suo cv ci sono sei finanziarie

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Hegel aveva torto, ma se l’ironia della storia non esiste come la mettiamo con i grillini e Daniele Franco? E’ vero che il Movimento 5 stelle ha dimostrato una maestria invidiabile nel rigirare la frittata, ma non è facile dimenticare la campagna contro il ministro dell’Economia in pectore quando, nelle vesti di ragioniere generale dello stato, rifiutava di “bollinare” le spese senza copertura. Correva il breve tempo del governo gialloverde e Luigi Di Maio, come numero due dopo Giuseppe Conte, fremeva. Gli faceva da sponda Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato.

 

Secondo Patuanelli, Franco era il simbolo del tecnocrate con gli occhi rivolti al passato, all’austerità, all’esecrata èra Monti. Finché Rocco Casalino se la prese con “i pezzi di merda” che non riuscivano a trovare “10 miliardi del cazzo” per il Reddito di cittadinanza. Franco, difeso da Giovanni Tria, ministro dell’Economia prudente e perbene, era arrivato alla Ragioneria generale proveniente dalla Banca d’Italia nel 2013 con il governo Letta quando sulla poltrona di Quintino Sella sedeva Fabrizio Saccomanni, già direttore generale di Palazzo Koch. Erano i tempi della spending review di Carlo Cottarelli e il ragioniere bloccava l’effetto colabrodo, subendo anche i rimbrotti di Matteo Renzi che in realtà ce l’aveva con Cottarelli. Con i suoi occhi aguzzi dietro agli occhiali senza montatura, silenzioso, affidabile, Franco lasciava dire e andava avanti per la sua strada. Nato a Trichiana in provincia di Belluno il 7 giugno del 1953, dopo la laurea in Scienze politiche a Padova e un master a York, è entrato all’ufficio studi della Banca d’Italia nel 1979. Dal 1994 al 1997 è stato consigliere presso la direzione generale degli Affari economici dell’Ue, dove ha seguito l’accidentato percorso verso l’euro.

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Tornato in Via Nazionale, si è occupato di finanza pubblica per poi dirigere l’ufficio studi. A lui si è rivolto ai primi di agosto del 2011 Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, perché scrivesse la brutta copia della lettera che la Bce aveva deciso di inviare al governo Berlusconi (mentre alla Banca di Spagna stavano scrivendo una lettera molto simile da spedire a Luis Zapatero). Quella missiva scatenò un putiferio, ricordarla sembra quasi di cattivo augurio, perché oggi non bisogna stangare, ma spendere bene, tuttavia restano ancora valide le raccomandazioni sulle riforme: dagli ammortizzatori sociali alla giustizia, dalla Pubblica amministrazione alle pensioni. Franco non è un “falco” nostalgico dell’austerità. Basta percorrere le sue pubblicazioni (tutte rigorosamente scientifiche) per capirlo. Ha studiato i sistemi di protezione sociale e le politiche fiscali in Europa, ha pubblicato saggi sulla distribuzione dei redditi e la tassazione delle attività finanziarie, e si è dedicato al bilancio pubblico e al federalismo fiscale. Insomma, uno sguardo teorico a largo spettro e una conoscenza dall’interno dei meccanismi dello stato; in più una vasta esperienza a Bruxelles e a Francoforte. Al contrario di quel che hanno detto di lui i grillini, non ha mai ragionato da contabile. Doveva restare tre anni alla Ragioneria, invece ha dato il via libera a sei finanziarie. E’ vero che il debito pubblico non si è ridotto, tuttavia l’Italia ha attraversato un triennio di crescita che ha coinciso con il governo Renzi. Tornato in Banca d’Italia nel 2019 e nominato direttore generale al posto di Fabio Panetta entrato nel direttorio della Bce, lo schivo e riservato civil servant non pensava di fare il ministro. Nel novembre scorso, intervenendo alla Giornata del risparmio ha tracciato una road map che adesso diventa ancor più intrigante. “Occorre migliorare la qualità e quantità dell’istruzione – ha detto – accrescere gli investimenti privati e pubblici, aumentare la spesa in ricerca e sviluppo accelerare l’innovazione, migliorare il quadro regolamentare e l’azione della Pa, facilitare l’aumento della dimensione delle imprese, recuperare i divari tra il Mezzogiorno e il resto del paese”. Insomma le linee guida del piano per la ripresa. Ora tocca a lui tirare i fili.

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