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un sistema sconquassato

Draghi e la resa dei partiti a uno stato di necessità che non permette errori

Alfonso Berardinelli

L’attuale situazione esige il trasformismo delle parti politiche in campo, cioè il loro arrendersi a una condizione economico-sociale, oltre che sanitaria, che ormai non concede passi falsi nè lentezze

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Non sono affatto sicuro di riuscire a scrivere questo articolo. So solo che proverò, nonostante l’incertezza e i dubbi. Sono guidato, al buio, solo da qualche intuizione di senso comune. Ma per esempio non so se siamo, noi italiani, più globali o più locali, né se dobbiamo ubbidire più a necessità di politica interna o continentale e internazionale. Non so se i nostri sono problemi di arretratezza nazionale, o invece ci costringono a soluzioni d’avanguardia. Ma penso e dico questo in un momento nel quale sarei tentato da un’insolita euforia, perché la disastrosa crisi di governo scatenata dall’uomo “più impopolare d’Italia”, che è Matteo Renzi secondo Massimo D’Alema, potrebbe risolversi, quasi miracolosamente, con la formazione di un governo a guida Mario Draghi, l’italiano oggi più stimato in Europa e nel mondo, che sembra averci raggiunti venendo direttamente da quel remotissimo e glorioso Rinascimento per il quale l’Italia, senza molte ragioni attuali, può essere ancora mitizzata.

 

Draghi, un banchiere, un borghese, un economista, un allievo dei gesuiti; così sobrio, composto, tenace, laconico e soprattutto per queste concrete qualità anche elegante. La foto recentemente pubblicata da questo giornale per illustrare un articolo di Michele Masneri (“Draghi, il fascino borghese”) me la sono ritagliata a futura memoria di quella che potrebbe essere una svolta politica nella storia dell’Italia repubblicana, europeizzata e postmoderna. Accanto a lui la bella, elegantissima moglie: insieme due individui lunari, astrali, che con il cattivo o pessimo stile della nostra politica hanno poco in comune. Miracolosamente Draghi, per un senso del dovere che gli promette fatiche e poi fatiche, ha accettato l’incarico del presidente Mattarella: l’incarico, proprio così, di “salvare l’Italia” in uno dei suoi momenti più complessi e drammatici. Per fortuna, per ora, la maggior parte dei nostri dirigenti politici sembra aver capito che chi si taglia fuori e si esclude, perdendosi l’occasione di collaborare con un uomo di tale autorità e caratura, correrà ancora più rischi di quelli che si corrono partecipando a questa disperata impresa governativa.

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Se non ce la facciamo ora, non ce la faremo più, e non oso pensare a che cosa potrà essere di noi. Qualcuno già mormora e borbotta che Draghi non va bene perché “è un uomo delle banche” e non del popolo: ma per il povero Conte, cosiddetto “avvocato del popolo”, il gradimento nei sondaggi è stato altissimo, eppure l’aiuto che aveva chiesto in Parlamento a ipotetici “costruttori” preoccupati del bene comune non gli è mai arrivato. Credo che proprio un uomo delle banche e un accorto economista capace di intervenire nella sua logica a vantaggio della società nel suo insieme, sia ora la risorsa politica e tecnica più augurabile e pratica. Proprio perché abbiamo paura delle banche, Draghi al governo può rassicurare, perché è certo che farà meno errori di chiunque altro. Il problema economico non l’ha inventato lui: coincide con la realtà dell’intero mondo, almeno finché una rivoluzione non realizzerà il nuovo eden sul pianeta Terra.

 

Draghi farà miracoli? Arrivo a sperare che un paio ne faccia. Il dubbio che ho mi viene dal famoso detto che suona così: “Sventurato il popolo che ha bisogno di eroi”, dato che noi somigliamo a un tale popolo più di molti altri. E’ un dubbio che nasce dal fatto che potremo avere un pilota e campione di Formula 1 costretto a guidare una vettura vecchia e malcurata, che ha i freni da rifare, le candele sporche, le gomme lisce, lo specchietto retrovisore rotto… È in questo stato che si trovano le nostre istituzioni, i ministeri, l’amministrazione pubblica; per non parlare del personale addetto, abituato come è a fare poco e male, perché “tanto i governi cadono e passano, mentre a noi impiegati e funzionari nessuno ci licenzia”. L’apparato con cui stato e governo dovrebbero esercitare il loro potere è sconquassato e non ubbidirà facilmente agli ordini del pilota. Perciò il solo e vero problema è che Draghi, scelto al di là dei partiti, dovrà governare con il consenso e l’approvazione dei partiti. Non secondo i loro programmi e le loro idee (di Zingaretti e Berlusconi, di Salvini e Di Maio) ma secondo le diagnosi e le terapie che Draghi è stato chiamato a formulare e decidere.

 

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Chi lo appoggia dovrà – o dovrebbe – quindi farlo dandogli piena fiducia e riconoscendogli capacità sia tecnica sia politica, due cose al momento pressoché inseparabili. L’idea di un incarico di governo a Draghi è nata come extrema ratio e come rimedio a un’impotenza, a un’insipienza governativa dei partiti che è stata sperimentata nel corso di decenni. Non è affatto chiaro, per ora, se i partiti abbiano capito l’anomalia della scelta compiuta da Mattarella incaricando Draghi. La soluzione graduale dei nostri problemi nazionali (dal debito pubblico al fisco, all’occupazione, alla burocrazia, alla giustizia, all’istruzione, all’ambiente) dovrà passare attraverso la resa dei partiti di fronte a un leader che con loro non deve avere troppo a che fare, poiché esattamente per questo è stato scelto. Nel sostenere Draghi permettendogli di governare, i partiti dovranno trasformarsi. L’attuale situazione politica esige il loro trasformismo, cioè il loro arrendersi a uno stato di necessità economico-sociale, oltre che sanitario, che ormai non permette errori e lentezze. È possibile che un miracolo come questo Draghi non riuscirà a farlo. Nel quale caso però l’Italia, la sua classe dirigente e i suoi cittadini, non sapranno più che cosa fare di se stessi.

 

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