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Parisi ci spiega perché l'arrivo Draghi rappresenta una crisi del sistema politico

L'intervista

David Allegranti

"Il Pd ha urgente bisogno di un confronto. Solo un confronto serio può metterlo al riparo dalle improvvisazioni che di un Avvocato del Popolo hanno fatto prima 'l’oggettivo punto di riferimento di tutti i progressisti', e ora il sedicente leader di una tripartita Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile"

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Professor Arturo Parisi, l'’arrivo di Mario Draghi rappresenta la crisi del sistema politico?

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Professor Arturo Parisi, l'’arrivo di Mario Draghi rappresenta la crisi del sistema politico?

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"Rappresenta la crisi del sistema politico molto molto di più che di quello istituzionale. L’assenza di una qualche unità della classe politica. La inconsistenza delle sue partizioni interne. Basta ripassarsi le dichiarazioni delle diverse sigle, sì sigle, all’uscita delle consultazioni di queste ore. Mentre attendiamo che sulla piattaforma Rousseau i 5S ci dicano se concordano su quel che ha già detto Grillo a nome dei grillini. Facciamo come ai tempi del Cln! Dei partiti del Cln. Mi è toccato sentire anche questo. Pur ricordando i limiti di quella esperienza ora comprensibilmente affidata al mito, al solo confronto mi verrebbe da piangere. Immagini dove saremmo ora senza la Presidenza della Repubblica, e senza quella riserva della Repubblica della quale Draghi è di certo l’esponente più illustre ma non il solo".

 

Draghi disarticolerà centrodestra e centrosinistra?

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"Purtroppo sono da tempo entrambe formule vuote. Sia quando le leggo con il trattino. Figuriamoci senza. Nomi che sopravvivono ad un tempo che fu, trascorso almeno da 16 anni. Da quando Berlusconi, per contrastare quel tanto di unità che avevamo iniziato a costruire nella breve finestra del maggioritario fondato sul collegio uninominale, decise col Porcellum di avviare la demolizione dell’edificio bipolare della cui costruzione ogni tanto si vanta. La disarticolazione non ha mai smesso di avanzare fino alla sciagurata legge Rosato. Attende solo di essere ulteriormente perfezionata sotto l’impulso minaccioso del nostro Pd. Non credo che la tregua Draghi possa dare un rilevante contributo ulteriore".

 

Il Pd è pronto a governare con la Lega?

"Diciamo sotto la guida di Draghi, dentro un governo di tutti. Non sarà facile. Ma è una questione di tempo. Confido che come un temporale estivo questa tregua riesca a ripulire l’aria dagli umori, dalle parole, e dai ruggiti che, soprattutto, ripeto, soprattutto ma non solo grazie a Salvini, si sono andati moltiplicando negli ultimi anni. Una volta distinta la Lega dal suo capo attuale magari ci ricorderemo che ci fu un tempo nel quale qualcuno la definì una costola della sinistra. Nonostante il Senatur di allora non avesse nulla da invidiare al Salvini di ora. D’altra parte non riesco a dimenticare che appena diciassette mesi fa, altri in pochi giorni ritennero che, a pensarci bene, coi grillini ci si poteva pure sposare mettendo su casa a tempo interdeterminato. E molto, molto di più. In pochi giorni". 

 

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Ci si può fidare di Salvini?

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"È esattamente la domanda, la domanda che conta, che si son fatti i suoi antichi elettori. E, tra essi, i ceti produttivi del Nord che si andavano appunto chiedendo dove Salvini li stesse portando. Non più lontani dal Sud verso l’Europa come ai tempi della secessione nordista. Ma addirittura lontani dal Nord e dall’Europa all’inseguimento dei voti 'terroni' per la gloria del capo. Capisco quando sembrava furbo accrescere la propria forza elettorale senza doversi intestare le responsabilità di governo, grazie al proporzionale. Ma proprio ora che Europa e Governo significano - per dirla alla Bossi e Salvini - spartire la grana e non invece caricarsi le grane?".

 

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Qual è l’orizzonte temporale, secondo lei, del governo Draghi (posto che effettivamente nasca)?

"Diciamo che di scadenze con le quali fare i conti il governo ne ha in agenda già due che basta e avanza. Tra un anno l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Tra due quella del nuovo Parlamento. Il solo darsene altre farebbe di un governo a scadenza, un governo scadente. E presto scaduto".

 

Può stare ancora in piedi l’idea di un’alleanza, per non dire di una casa comune, tra Pd e M5s?

"Di idee se ne possono avanzare molte, di parole consumare moltissime. Non lo escludo oggi, come non lo esclusi ieri. In democrazia il merito e la fatica dei politici è appunto la costruzione di unità sempre più larghe capaci di reggere nel tempo per assicurare un governo fondato sul consenso della maggioranza dei cittadini. Ma è un lavoro serissimo che non accetta improvvisazioni come fu purtroppo l’accrocchio messo in piedi all’inseguimento di un treno per portava al governo, e in fuga anche dal solo rischio di elezioni perché date a priori per perse".

 

Il Pd ha bisogno di un congresso?

"Sarebbe il primo. A meno che non chiamiamo congresso quella conta che nel tempo son diventate le primarie per un segretario che nessuno immagina più candidato successivamente a premier in elezioni secondarie dentro una competizione secondaria di carattere maggioritario. Una opzione abbandonata dallo stesso partito mai veramente discussa. Quello del quale il partito ha urgente bisogno è di un confronto fondato su parole di verità. Di lasciare definitivamente alle sue spalle i voti unanimi, con qualche astenuto, che dalla sua nascita contraddistinguono le riunioni dei suoi organi. Solo un confronto serio interno può preparare quel confronto esigente esterno che finora è mancato. Solo un confronto serio può metterlo al riparo dalle improvvisazioni che di un Avvocato del Popolo hanno fatto prima “l’oggettivo punto di riferimento di tutti i progressisti”, e ora il sedicente leader di una tripartita Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile".

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