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L'autonobile BCE

Governo station wagon

Michele Masneri

Tra nostalgia di grandeur motoristica e pauperismo, tra autoblu e grillini in bus, finalmente Draghi in giardinetta imbarca tutti

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E alla fine arrivò la station wagon di Draghi. Le avevamo viste tutte, negli speciali simbolismi della metafora automobilistica, sul tema “autoblu”; e ora è arrivata la famigliare, famigliare tedesca, novità assoluta del governatore-presidente.

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E alla fine arrivò la station wagon di Draghi. Le avevamo viste tutte, negli speciali simbolismi della metafora automobilistica, sul tema “autoblu”; e ora è arrivata la famigliare, famigliare tedesca, novità assoluta del governatore-presidente.

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Gli ultimi decenni, insieme alla liquefazione della classe politica, ci avevano abituati al crollo di ogni certezza automobilistica: finivano la prima e la seconda repubblica, veniva meno qualunque codice. Renzi, che nasceva su una metafora motoristica (“il rottamatore”) era arrivato al Quirinale su una Smart scassata (dell’amico Ernesto Carbone) per rottamare Letta (che prima di lui era salito al Colle su un vecchio monovolume Ulysse). La “rottamazione”, declinata come i governi, c’è quella bis e quella ter, doveva servire a dotare gli italiani di auto sempre più efficienti, ma portò i politici a dotarsi di scassoni senza precedenti; come se da lì, dall’auto, passasse ogni significato (forse, lapsus).

 

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I Cinquestelle avevano inaugurato l’epopea dell’auto pubblica, come l’acqua. Ecco il taxi (con incolpevoli tassisti a guidare nel traffico dribblando i cronisti), mezzo che talvolta ripristinano per ricordarsi degli esordi (in taxi è arrivato anche Casaleggio jr l’altro giorno). Il presidente della Camera Fico addirittura osò l’autobus (uno dei pochi non andati a fuoco nella capitale). 

 

A un certo punto in questa gara al ribasso ci si era messo pure il Papa, che aveva voluto rimarcare tutta la sua alterità a partire proprio dalla vettura: gettando nella costernazione addetti alla sicurezza e schiere di appassionati, perché il Papato molto si identificava in passato non solo con le Papamobili ma con le berlinone Mercedes; invece Bergoglio decise per una penitenziale e sgangherata Ford Focus blu. E nei meme antipatici invece fioriva la consorella Escort per Berlusconi (cosa mi avete portato! Non intendevo questa!), mentre il Cav., alla fine, oggi provoca soprattutto nostalgia, grazie anche al vecchio trucco delle celebrità, essere sempre uguali a sé stesse. E dunque, anche l’altro giorno, corteo di macchinoni, solita Audi A8 blindatissima all’arrivo dalla Provenza col Gulfstream aziendale (e di lì motorcade sulla via Appia come già Evita Peron ai tempi d’oro; e sosta nella nuova magione, la villa Zeffirelli: ma sul nuovo compound berlusconiano, vagamente Sunset Boulevard, tra Valentino, la duchessa Gaetani, la Lollobrigida, la Furibonda, bisognerà senz’altro approfondire).

  

  

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Ma tornando al punto: tra nostalgia di grandeur motoristica e pauperismo, tra Gulfstream e catorci, anche qui per Draghi non è mica facile una sintesi. Lui ci prova con la sua Volkswagen station wagon, argento. Attentissimo ai simboli, patito della photo opportunity perfetta, in fila al supermercato o al benzinaio, adesso sdogana quel particolare tipo di vettura, un tempo, in italiano nel testo, la giardinetta. E’ un particolare tipo di auto che ci ha messo un po’ a piacere, in Italia: più che altrove (tra le possibili cause: rimozione delle nostre origini contadine; somiglianza col carro funebre).

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Ma i tempi sono maturi: tra pauperismo e neoelitismo ecco la giardinetta (sarebbe facile l’ennesima metafora: con tanto spazio dietro per imbarcare tutti).  Tedesca ma familiare, come lui, “sobria, elegante, de classe”, come dice Christian De Sica in “Yuppies”, del resto Draghi è anche il primo premier campagnolo, che non abita in città: dunque ecco il mezzo perfetto per trasportarlo a sirene rigorosamente spente su verso il casale umbro che sembra quello delle pubblicità Barilla degli anni Ottanta, con la Mercedes serie S disegnata da Bruno Sacco e la musica di Vangelis.

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Mercedes che però oggi sarebbero viste come simbolo di apostolato delle élite  (come quelle di Di Maio in qualche visita di Stato, in Svizzera o ad Avellino, come segnalò Gianfranco Rotondi osservando un corteo che portava il ministro degli Esteri a un comizio, con dovizia di macchine sfolgoranti: “Il viale del tramonto è brevissimo anche quando lo si percorre con quattro auto blu"). Ancora sunset boulevard.

 

Oggi tutto cambia velocemente, bisogna stare attenti. Era più facile al tempo di presidenti non colpevolizzati per auto opulente  (Pertini aveva la sua Maserati con speciali portapipe in radica; Ciampi la Lancia Thema versione limousine per ricevere la regina Elisabetta); lo standard base anche per ministri senza portafogli era la berlina Alfa e Lancia; la 164 sgommante con antennone a spirale per radiotelefono del ministro Depero in “Il portaborse” di Daniele Luchetti), ispirato a Claudio Martelli, che come Berlusconi aveva scelto l’Appia antica anche per la vicinanza ai comodi voli executive a Ciampino.

 

E certo ci fu la stagione dei sindaci: e a Roma nacque tutta un’epopea local delle due ruote: Rutelli sindaco di Roma andava in Campidoglio con l’SH beige (prima che la Honda cominciasse a testare i suoi scooter sulle buche romane, situazione considerata più estrema anche del deserto del Gobi, dove prima provavano le loro moto). Ignazio Marino dopo la famigerata Panda rossa prese la bici (creando anche una leggendaria scorta ciclistica, una falange di vigili dai polpacci prodigiosi).

 

Ma erano sindaci, appunto. All’auto, blu o grigia, difficile rinunciare per il premier. E dura sfuggire alle critiche. Alle “autoblu” era dedicato un intero capitolo di “La Casta”, il libretto rosso da cui tutto è cominciato, nel 2007. Titolo del capitolo: “Mi dia un’autoblu, tipo Rolls-Royce”, e lì malefatte e sprechi di ministri e sottosegretari patiti di berline come emiri. Ma il capitolo si chiudeva, profeticamente, con un Draghi allora governatore, che in un’immagine salvifica lasciava l’auto al parcheggio: e se ne andava a piedi.

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