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Il colloquio

Franca Ciampi al Foglio: "Draghi sistemerà la patria: io e Carlo gli vogliamo bene"

"Ho cento anni e aspetto il mio momento, ma ho fiducia in Mario. Perché parlo al plurale? Perché mio marito è come se fosse rimasto al mio fianco"

Simone Canettieri

La vedova dell'ex capo dello Stato: "Spinsi mio marito a richiamarlo dagli Usa, ha la forza per risollevare il nostro paese"

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“Noi gli vogliamo bene, gliene abbiamo sempre voluto.  Vogliamo bene anche a sua moglie. Fu mio marito a volerlo con sé, e anche io dissi la mia, eh. E’ una parte di noi. Parlo al plurale maiestatis perché Carlo è come se stesse sempre ancora vicino a me”.

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“Noi gli vogliamo bene, gliene abbiamo sempre voluto.  Vogliamo bene anche a sua moglie. Fu mio marito a volerlo con sé, e anche io dissi la mia, eh. E’ una parte di noi. Parlo al plurale maiestatis perché Carlo è come se stesse sempre ancora vicino a me”.

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Franca Pilla o “Lady Franchezza”, come la ribattezzarono i quirinalisti, è la vedova di Carlo Azeglio Ciampi. Ha attraversato il Novecento in cavalleria e lo scorso 19 dicembre ha compiuto cento anni. Donna Franca risponde alla telefonata del Foglio di prima mattina.  “Parli forte, abbia pazienza”, dice con una voce ancora densa di energia. La disturbiamo per Draghi, il primo dei Ciampi-boy. “Lo scriva: Mario sistemerà la nostra patria, ne sono sicura”. 

 
Ecco, basterebbe rileggere questi primi e preziosi virgolettati di Franca Ciampi per dare un senso a un sacco di cose. Innanzitutto “il noi”. La prima persona plurale per raccontare - o meglio rivendicare - le scelte di settant’anni di matrimonio che andranno avanti ancora, anche se da oltre quattro anni il presidente emerito della Repubblica, il ragazzo della Normale, non c’è più.

E poi sempre quel “noi”. Per rivelare che insomma dietro alla scelta di nominare Draghi - “fu Carlo sa a richiamarlo dall’America, mi sembra proprio, ora non mi vorrei sbagliare, ma sono sicura che andò così”, dice ancora al Foglio la signora Franca - anche lei fece la sua parte. Quella di una donna che rivoluzionò il protocollo delle istituzioni italiane. Creando e dando spessore e simpatia a una figura ai tempi ancora ignota: quella della first lady o première dame.

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L’impulsività, le battute, le svirgolate (“la gente del sud è più simpatica e intelligente”, disse per esempio in piena Lega secessionista al governo). Memorabile poi l’incontro con un Giovanni Paolo II aggredito dalla malattia: “Sua santità, non si strapazzi: prego   per lei”. Seguì rapida correzione toscanissima dell’allora Capo dello stato: “Santità, io invece non mi permetto di pregare per lei, ma insomma  penso sempre a lei”. Che coppia, che Italia.


 E nella vita, biografia della nazione della famiglia Ciampi, ecco arrivare per mai più andarsene Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro nel 1991 su “suggerimento” e stima di Ciampi, all’epoca governatore della Banca d’Italia. Ruoli che si scambiano e che uniscono Carlo e Mario, maestro e allievo maturo, fino a far diventare quest’ultimo un Ciampi-boy. Il primo, in purezza. Si racconta che nel 1999 proprio Draghi fosse accanto al suo maestro mentre si contavano i voti che stavano portando Ciampi al Quirinale.


E adesso la storia torna a bussare. E allora sì, che diamine, quello di Draghi sarà un governo modello Ciampi, governo del presidente e di transizione, guidato da un tecnico ma con pasta politica e in un momento storico complicato: fu Tangentopoli, è la pandemia. 
Dice ancora donna Franca al Foglio: “Sono sicura che Mario ce la farà, rimetterà in ordine l’Italia, sistemerà la nostra povera patria sconvolta dal virus. Ha le forze giuste per riuscirci, lo scriva, me lo sento, ne sono sicura anzi”.

In questa bella storia c’è un piccolo tornante scemo: nel 2018, a due anni dalla scomparsa del presidente, la sua Livorno, passata nelle poco sapienti mani grilline, gli negò l’intitolazione di una rotonda. Con motivazione che adesso, in questi giorni, risultano ancora più grottesche: “Era amico delle banche, traghettò l’Italia nel sistema monetario europeo”.

Una bocciatura a opera della maggioranza M5s, rinomata per le competenze economiche, che fece scuotere la testa a molti. Magari anche a Draghi, e provocando dispiacere a donna Franca. Il torto è stato sanato proprio lo scorso dicembre da Virginia Raggi, grillina sì ma talebana no. La sindaca di Roma - accogliendo la richiesta del comitato per le celebrazioni del centenario della nascita dell’ex presidente della Repubblica avanzata da Giuliano Amato - ha deciso così di intitolare una via della Capitale all’ex Capo dello stato. E ha avuto modo anche di dirlo alla moglie, raccogliendo - come si fanno fieri in Campidoglio - l’invito “ad andare avanti”.

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Signora Franca, ma come sta? “Come vuole che stia, ci sento poco, sono un po’ rimbambita e aspetto con serenità il mio momento”. Ma il vaccino? Farà il vaccino? Silenzio. “Parli più forte. Anzi, guardi,  il dottore ha detto che non posso stancarmi. Scriva ciò che vuole, mi fido, potrei essere la sua bisnonna. Si ricordi quanto le ho detto su Draghi: ce la farà, gli vogliamo bene”.
 

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