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basta "porti chiusi"?

L'altra svolta di Salvini, che si riscopre europeista pure sui migranti

Luca Gambardella

Il leader della Lega dice di volere una "legislazione europea" sull'accoglienza. Con il Migration Pact in discussione a Bruxelles avrà da subito il modo per dimostrarlo concretamente. E di voltare le spalle ai suoi amici di Visegrád

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La parabola europeista di Matteo Salvini ha sfatato un altro tabù, uno dei più sorprendenti. “Sul tema immigrazione noi proporremo l’adozione della legislazione europea. Vogliamo che l’immigrazione in Italia sia trattata come lo è in Francia e in Germania”, ha detto lunedì a Milano. Un concetto rilanciato ancora ieri, dopo il nuovo incontro con il premier incaricato Mario Draghi. “Sull'immigrazione chiediamo politiche di stampo europeo, che trattino la gestione” dei flussi “come Spagna, Francia, Germania. Non il ‘modello Salvini’, ma una buona gestione”. Il sorprendente slancio degasperiano del leader del Carroccio ha lasciato di stucco i giornalisti presenti. Per esser sicuro di avere capito bene, qualcuno lunedì gli ha chiesto che cosa si dovrebbe fare, allora, con i 422 migranti salvati dalla nave umanitaria Ocean Viking e sbarcati poche ore prima al porto di Augusta. “Coinvolgere l’Europa”, ha risposto secco il novello Dulce. E se non fosse che a parlare è colui che fino a poche settimane prima era l’“uomo dei porti chiusi”, l’alleato di Orbán e Le Pen, l’ex ministro dell’Interno imputato per sequestro di persona aggravato ai processi Open Arms e Gregoretti, le parole di Salvini potrebbero essere scambiate per una provocazione. Ma se davvero l’aura di Mario Draghi ha avvolto il Carroccio, se è vero che non si tratta di mero camaleontismo ma della revisione di un’agenda politica, allora è questo il momento di passare ai fatti.

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La parabola europeista di Matteo Salvini ha sfatato un altro tabù, uno dei più sorprendenti. “Sul tema immigrazione noi proporremo l’adozione della legislazione europea. Vogliamo che l’immigrazione in Italia sia trattata come lo è in Francia e in Germania”, ha detto lunedì a Milano. Un concetto rilanciato ancora ieri, dopo il nuovo incontro con il premier incaricato Mario Draghi. “Sull'immigrazione chiediamo politiche di stampo europeo, che trattino la gestione” dei flussi “come Spagna, Francia, Germania. Non il ‘modello Salvini’, ma una buona gestione”. Il sorprendente slancio degasperiano del leader del Carroccio ha lasciato di stucco i giornalisti presenti. Per esser sicuro di avere capito bene, qualcuno lunedì gli ha chiesto che cosa si dovrebbe fare, allora, con i 422 migranti salvati dalla nave umanitaria Ocean Viking e sbarcati poche ore prima al porto di Augusta. “Coinvolgere l’Europa”, ha risposto secco il novello Dulce. E se non fosse che a parlare è colui che fino a poche settimane prima era l’“uomo dei porti chiusi”, l’alleato di Orbán e Le Pen, l’ex ministro dell’Interno imputato per sequestro di persona aggravato ai processi Open Arms e Gregoretti, le parole di Salvini potrebbero essere scambiate per una provocazione. Ma se davvero l’aura di Mario Draghi ha avvolto il Carroccio, se è vero che non si tratta di mero camaleontismo ma della revisione di un’agenda politica, allora è questo il momento di passare ai fatti.

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Per cominciare, la grammatica giuridica della dichiarazione di Salvini merita qualche appunto. Va chiarito cosa si debba intendere per “l’adozione della legislazione europea”, che oggi poggia sul contestatissimo Regolamento di Dublino. Dal 2016 la Commissione europea ha presentato a Consiglio Ue ed Europarlamento diverse proposte per modificare il principio iniquo del paese di prima accoglienza. Un principio che da sempre penalizza i paesi di frontiera dell’Ue, come l’Italia, obbligati a processare le richieste di asilo di chiunque arrivi sul loro territorio. Come Salvini sa, la Lega – e con lei il M5s – non ha mai partecipato alle 22 riunioni della commissione per le Libertà civili del Parlamento Ue, impegnata nella discussione della riforma, poi naufragata, che prevedeva una redistribuzione dei richiedenti asilo in base a quote automatiche e obbligatorie. Non solo, al voto finale in Aula del 16 novembre 2017 la Lega decise di astenersi allineandosi con i paesi di Visegrád.

   

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Oggi come allora, la normalizzazione di Salvini passa per un’assunzione di responsabilità: se davvero la Lega intende risolvere il tema della ridistribuzione dei migranti deve sedersi attorno a un tavolo e trattare. Il sospetto che quello di Salvini sia un trasformismo tattico piuttosto che un ravvedimento di sostanza è dietro l’angolo. Per questo, per passare da un annuncio-spot alla concretezza, la delegazione degli europarlamentari leghisti potrebbe sottoporre a Bruxelles proposte costruttive per modificare il deludente Migration Pact, presentato dalla Commissione Ue lo scorso settembre e allo stato attuale privo degli automatismi e dell’obbligatorietà richiesti dall’Italia. Con la benedizione di Draghi e in nome di una vera discontinuità con il passato, Salvini potrebbe voltare le spalle ai suoi vecchi alleati di Visegrád e battersi per cambiare quella “legislazione europea” a cui ora si appella. 

 

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