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Draghi, le élite, l’istruzione, il virus. La lezione di Sabino Cassese

Annalisa Chirico

Nel suo ultimo libro, "Una volta il futuro era migliore", il giudice emerito della Corte costituzionale evidenzia il graduale e apparentemente inarrestabile declino italiano. Tre suggerimenti ai futuri governanti per invertire la rotta: "Istruzione, istruzione, istruzione"

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A volte, per cogliere il senso profondo di un libro, è bene partire dalla fine. Nel suo ultimo saggio dal titolo “Una volta il futuro era migliore. Lezioni per invertire la rotta” (Solferino), il professore Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, esalta le virtù e i meriti di una “élite non elitista”. Perciò, in questa conversazione con il Foglio, gli chiediamo anzitutto il significato della formula magica. “Semplicissimo: una élite a cui tutti possono accedere – replica il giurista di origine irpina, già ministro per la Funzione pubblica ai tempi del governo Ciampi – Mi riferisco a una élite aperta che si preoccupi anche di dare la possibilità concreta a tutti di accedere”. Negli scorsi mesi lei è stato tra i più autorevoli critici del Conte-bis: adesso, con il presidente incaricato Mario Draghi, le cose andranno meglio? “Non ho qualità di oracolo o indovino. Posso solo elencare gli elementi che fanno ben sperare. Il primo è la maggiore coesione parlamentare, insieme con una maggioranza più ampia. Il secondo è la maggiore esperienza del presidente del Consiglio dei ministri incaricato. Il terzo è il maggiore ascolto che possiamo ottenere dai mercati e dagli stati stranieri, in un momento in cui ne abbiamo molto bisogno”. 

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A volte, per cogliere il senso profondo di un libro, è bene partire dalla fine. Nel suo ultimo saggio dal titolo “Una volta il futuro era migliore. Lezioni per invertire la rotta” (Solferino), il professore Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, esalta le virtù e i meriti di una “élite non elitista”. Perciò, in questa conversazione con il Foglio, gli chiediamo anzitutto il significato della formula magica. “Semplicissimo: una élite a cui tutti possono accedere – replica il giurista di origine irpina, già ministro per la Funzione pubblica ai tempi del governo Ciampi – Mi riferisco a una élite aperta che si preoccupi anche di dare la possibilità concreta a tutti di accedere”. Negli scorsi mesi lei è stato tra i più autorevoli critici del Conte-bis: adesso, con il presidente incaricato Mario Draghi, le cose andranno meglio? “Non ho qualità di oracolo o indovino. Posso solo elencare gli elementi che fanno ben sperare. Il primo è la maggiore coesione parlamentare, insieme con una maggioranza più ampia. Il secondo è la maggiore esperienza del presidente del Consiglio dei ministri incaricato. Il terzo è il maggiore ascolto che possiamo ottenere dai mercati e dagli stati stranieri, in un momento in cui ne abbiamo molto bisogno”. 

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Il Big Bang è frutto del machiavellismo di Matteo Renzi. “La storia insegna che i corsari possono rovesciare le sorti di una guerra. Bisogna poi aspettare che i corsari si mettano al servizio di sua maestà britannica, come accaduto nel passato”. Il capo dello stato Sergio Mattarella, nel suo appello ai partiti, si è soffermato sul Recovery fund e sulla campagna vaccinale. SuperMario è la persona giusta? “Entrambi gli obiettivi richiedono buone capacità organizzative. Ci si può aspettare che una persona che ha guidato la direzione generale del Tesoro e la Banca d’Italia, e che poi è stato a lungo governatore della Bce, abbia acquisito grandi capacità di organizzazione”. 

  

   

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Il leader del centrodestra Matteo Salvini, ha spiazzato tutti offrendo il pieno sostegno della Lega al governo dell’uomo che ha difeso l’euro e la costruzione europea con il suo memorabile “whatever it takes”. “La Lega ha bisogno di conquistare dimensione nazionale e l’appoggio della parte centrale dello spettro politico italiano. Il sostegno al governo Draghi può essere molto funzionale a questi due fini. In larga misura, la Lega si trova nella stessa posizione del M5s: deve trasformarsi da fenomeno puramente sociale – un movimento – in attore statale. Deve acquisire competenze, formulare politiche, selezionare uomini che siano in grado di gestire lo stato. Finora, il leader ha proceduto per slogan, appigliandosi ai temi che riteneva di maggior successo di momento in momento, con un alto grado di improvvisazione (il timore degli stranieri, il nazionalismo, l’enfasi sulla italianità, l’avversione alle imposte)”.

   
Lei ha capito perché in questi mesi il Pd si è schiacciato sulla figura di un professore che aveva governato con la destra, firmato i decreti “Sicurezza” ed è stato il principale riferimento di Donald Trump in Italia? “Ogni epoca ha bisogno del suo Badoglio, di un tecnico in una posizione mediana, che traghetti da un regime a un altro”. 

 

       

Nel suo libro, nato dalla lectio magistralis tenuta in occasione della seconda edizione della Scuola di Fino a prova contraria, lei evidenzia il graduale e apparentemente inarrestabile declino italiano. Se potesse dare ai futuri governanti tre suggerimenti per invertire la rotta, quali sarebbero? “Istruzione, istruzione, istruzione. Quasi tutti gli studi di economisti e sociologi conducono alla conclusione che dal grado di istruzione dipendono tutti i fattori del progresso sociale e del successo personale. Le forze populiste non hanno portato il loro populismo fino in fondo. Invece che sul Reddito di cittadinanza, avrebbero dovuto puntare sullo sviluppo educativo dell’intera società, il modo migliore per dare più potere al popolo”.

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L’Italia, come dice lei, cammina mentre gli altri corrono. La nostra classe dirigente è la principale responsabile di questa perdita di competitività? “Se rispondessi positivamente a questa domanda, dovremmo concludere che tra società civile e classe dirigente si è creato un vallo. Non penso che questo sia vero. La classe dirigente italiana riflette abbastanza fedelmente interessi, ideologie, cultura, emozioni, pulsioni proprie dei nostri concittadini”. Lei si sofferma sul valore della competenza ma il nostro è il paese dove chiunque s’improvvisa in ogni ruolo, e siamo pure il paese che, in crisi pandemica, ha riaperto prima i bar, poi le scuole, rimaste chiuse per il numero di giorni più alto in Europa. Come si fa? “Gli errori che lei enuncia sono il frutto di una difficoltà che gli storici hanno sempre registrato in Italia, quella di pianificare. Amiamo improvvisare. Sono gradite le soluzioni estemporanee, anche quando vi sarebbe bisogno di determinare obiettivi, individuare mezzi, scegliere persone, controllare risultati, in una parola programmare”. 

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La pandemia ha messo in crisi le istituzioni democratiche, paesi come Russia e Cina hanno dimostrato una maggiore resilienza. E’ la rivincita dei regimi autoritari? “La pandemia ha suscitato numerosi interrogativi. Primo: per assicurare maggiore sicurezza, non è meglio rinunciare a qualcuna delle nostre libertà? Secondo: un sistema meno democratico e più autoritario non avrebbe garantito meglio la nostra salute? Terzo: non sarebbe stato meglio controllare le nostre frontiere in modo da evitare la diffusione del virus a livello planetario? Credo che siano tutti interrogativi sbagliati, perché bisogna saper bilanciare, da un lato, sicurezza e salute, dall’altro, libertà, democrazia e rispetto universale dei diritti, senza sacrificare questi ultimi”. 

  
Nel libro lei consiglia ai giovani di avere un “maestro” nella vita. Lei si sente tale? “Ho cominciato a insegnare nei primi anni Sessanta e non ho mai interrotto, neanche quando ero alla Corte costituzionale. Mi sono concesso soltanto una pausa di un anno durante il mio ‘servizio militare’ nel governo Ciampi. Ho avuto quindi molti allievi, e con molti di loro ho continuato ad avere stretti rapporti di tipo scientifico. Parecchi hanno i capelli bianchi. Se sia stato un buon maestro, lo deve chiedere a loro”. 
   

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