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L'intervista

L’ultima spiaggia Draghi

Annalisa Chirico

“Non ci resta che l'ex presidente della Bce. E la rottura fra Salvini e Meloni è naturale”. Parla Giulio Sapelli

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“Matteo Salvini deve fare la mossa del cavallo: appoggi Mario Draghi ed entri nel Partito popolare europeo”. Giulio Sapelli parla con voce squillante, quasi di giubilo. Per lui è il giorno della Liberazione. “Finalmente Conte se ne va a casa, un premier che ha rappresentato la farsa, il disastro totale, la gente che lavora non ne può più”. Professore, il suo giudizio è severissimo. “Conte è il frutto di quella che Antonio Gramsci chiamava ‘crisi organica’, vale a dire la disgregazione dei partiti senza base di massa, esposti soltanto alle influenze straniere e ai gruppi di pressione. Adesso è venuto il momento della tragedia nel senso classico, della catarsi, e Draghi è l’uomo giusto”. Lei lo conosce l’ex presidente della Bce? “Per nove anni abbiamo fatto parte del cda dell’Eni, seduti fianco a fianco. Lui è un politico più che un tecnico, viene dalla scuola andreottiana della Prima Repubblica, il che per me, che sono un vecchio comunista amico di Cirino Pomicino, è un gran complimento. Draghi conosce le cose da fare: basta sussidi a pioggia, basta helicopter money, basta debito cattivo, si punti sugli investimenti che generano profitto capitalistico e salario. E poi c’è un risvolto internazionale”.

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“Matteo Salvini deve fare la mossa del cavallo: appoggi Mario Draghi ed entri nel Partito popolare europeo”. Giulio Sapelli parla con voce squillante, quasi di giubilo. Per lui è il giorno della Liberazione. “Finalmente Conte se ne va a casa, un premier che ha rappresentato la farsa, il disastro totale, la gente che lavora non ne può più”. Professore, il suo giudizio è severissimo. “Conte è il frutto di quella che Antonio Gramsci chiamava ‘crisi organica’, vale a dire la disgregazione dei partiti senza base di massa, esposti soltanto alle influenze straniere e ai gruppi di pressione. Adesso è venuto il momento della tragedia nel senso classico, della catarsi, e Draghi è l’uomo giusto”. Lei lo conosce l’ex presidente della Bce? “Per nove anni abbiamo fatto parte del cda dell’Eni, seduti fianco a fianco. Lui è un politico più che un tecnico, viene dalla scuola andreottiana della Prima Repubblica, il che per me, che sono un vecchio comunista amico di Cirino Pomicino, è un gran complimento. Draghi conosce le cose da fare: basta sussidi a pioggia, basta helicopter money, basta debito cattivo, si punti sugli investimenti che generano profitto capitalistico e salario. E poi c’è un risvolto internazionale”.

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Quale? “Draghi è stimato e apprezzato dagli americani che lo imposero alla guida della Bce vincendo le resistenze tedesche, come emerge nel libro ‘Stress test’ di Timothy Geithner. In questa fase, il suo insediamento a Palazzo Chigi rappresenta il tentativo di saldare la cooperazione tra Washington e ciò che resta dell’Ue in funzione anticinese. Del resto, la ‘crisi organica’, incarnata appunto da Conte, ha rafforzato l’asse tedesco-cinese”. Quali consigli darebbe al presidente incaricato? “Deve garantirsi l’appoggio delle parti sociali, a tale scopo non aiuta l’atteggiamento di Confindustria che sembra cercare lo scontro quando pretende il superamento di Quota 100. Sindacati e confederazioni imprenditoriali vanno coinvolti nel segno della responsabilità nazionale, con spirito costruttivo e buon senso. Per l’Italia questo governo è l’ultima spiaggia”. Addirittura? “L’urgenza è il Recovery fund: senza quelle risorse, l’economia nazionale cade a picco. Sarebbe auspicabile mantenere il ministro Roberto Gualtieri nel suo ruolo attuale in via XX Settembre, idem per Lorenzo Guerini alla Difesa. Draghi non può diventare un novello Luigi Bonaparte: in caso di suo fallimento, l’intero paese fallisce”.

 

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A febbraio la Commissione europea apre alle notifiche formali dei piani nazionali. “Ho letto la bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’ultimo capolavoro del Conte-bis: va riscritto di sana pianta, mancano i progetti, manca il cronoprogramma, in sei mesi non hanno combinato nulla”. Il rischio è che l’agenda Draghi resti prigioniera dei veti incrociati dei partiti. “Per evitare ciò, Draghi ha bisogno dell’appoggio del principale partito italiano, l’unico in grado di garantire stabilità e coesione: se c’è la Lega, i voti grillini non servono e Beppe Grillo potrà tornare a fare il comico”. Lega e Pd, non male. “È quello che serve in una fase transitoria che conduca poi al voto. A Goffredo Bettini consiglio di farsi eleggere in Parlamento se vuole guidare un partito”. Con Berlusconi favorevole e Meloni contraria, l’unità del centrodestra va in frantumi. “Ma chi se ne importa? A Draghi bastano Lega e FI, la rottura tra Salvini e Meloni è un passaggio ineludibile, è nelle cose”. Per quale ragione? “L’alleanza tra Lega e FdI è assolutamente innaturale, Umberto Bossi non l’avrebbe mai voluta perché la Lega ha radici antifasciste, autenticamente democratiche, che affondano nella parte più produttiva e industriale del paese. È venuto il tempo di mettere la storia d’Italia al suo posto”.

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