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Golf come scuola

Giuseppe De Filippi

Tenacia e realismo: la terza via di Draghi fra lo spaccone Trump e il socializzante Biden

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Donald Trump ha fatto danni anche al golf. Il grande business golfistico americano è dovuto ricorrere a campagne difensive per non farsi travolgere dall’immagine negativa portata dal quarantacinquesimo presidente. L’associazione dei giocatori professionisti è corsa a cancellare la destinazione in un campo di proprietà di Trump della principale gara di cui cura l’organizzazione. In un libro è stato raccontato come e quanto l’allora presidente imbrogliasse, e con quel libro molti americani hanno capito davvero che tipo fosse. Perché ci sono poche circostanze in cui si è psicologicamente più scoperti, in cui il proprio carattere è più leggibile, di un campo da golf. Vale anche per Joe Biden, anzi per la cordata Biden-Barack Obama, entrambi golfisti, come quasi tutti gli americani, e spessissimo, durante la presidenza Obama, a fare 18 buche insieme. Biden in campo, dove ora va un po’ meno che nel passato, mostra, come avrete intuito, un’attitudine alle relazioni. In quasi tutte le sue foto golfistiche è ritratto con presidenti degli Stati Uniti (ora è lui stesso a interpretare quel ruolo) o alla peggio senatori. Comunque, Biden è giocatore corretto e con una tecnica dignitosa, mentre Trump tendeva alla spacconata e, ovviamente, a cadere nella smania della divulgazione, fino a diffondere in un manuale le sue idee su come si deve tirare un buon colpo di golf. Chi frequenta i campi di tipi così ne vede tanti, incaponiti nelle loro fissazioni, convinti di essere grandi giocatori, pronti, anche con una certa aggressività, al consiglio non richiesto.

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Donald Trump ha fatto danni anche al golf. Il grande business golfistico americano è dovuto ricorrere a campagne difensive per non farsi travolgere dall’immagine negativa portata dal quarantacinquesimo presidente. L’associazione dei giocatori professionisti è corsa a cancellare la destinazione in un campo di proprietà di Trump della principale gara di cui cura l’organizzazione. In un libro è stato raccontato come e quanto l’allora presidente imbrogliasse, e con quel libro molti americani hanno capito davvero che tipo fosse. Perché ci sono poche circostanze in cui si è psicologicamente più scoperti, in cui il proprio carattere è più leggibile, di un campo da golf. Vale anche per Joe Biden, anzi per la cordata Biden-Barack Obama, entrambi golfisti, come quasi tutti gli americani, e spessissimo, durante la presidenza Obama, a fare 18 buche insieme. Biden in campo, dove ora va un po’ meno che nel passato, mostra, come avrete intuito, un’attitudine alle relazioni. In quasi tutte le sue foto golfistiche è ritratto con presidenti degli Stati Uniti (ora è lui stesso a interpretare quel ruolo) o alla peggio senatori. Comunque, Biden è giocatore corretto e con una tecnica dignitosa, mentre Trump tendeva alla spacconata e, ovviamente, a cadere nella smania della divulgazione, fino a diffondere in un manuale le sue idee su come si deve tirare un buon colpo di golf. Chi frequenta i campi di tipi così ne vede tanti, incaponiti nelle loro fissazioni, convinti di essere grandi giocatori, pronti, anche con una certa aggressività, al consiglio non richiesto.

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Tra Biden golfista ortodosso e molto socializzante e Trump disperatamente narcisista anche fra tee e green (l’inizio e la fine di una buca), c’è la terza via di Mario Draghi. Il nostro presidente incaricato è un giocatore di golf metodico, mattiniero, realista e quindi disilluso come tutti i golfisti. Perché sa di non poter migliorare, semmai di poter un pochino peggiorare. Sa che il suo leggero slice – l’effetto verso destra che indebolisce i colpi, ma per lui che è mancino diventa un effetto verso sinistra, e li rende meno precisi – non passerà mai e cerca di conviverci. Quindi non fa il gradasso né si azzarda a dare consigli, come Trump, e non si dedica però neanche in modo sistematico a partite tra potenti politici come Biden. E’ mattiniero per ovvie esigenze visti gli impegni che potete immaginare. Metodico perché predilige (anche per far prima) il campo pratica al campo vero e proprio. E tanto è bello e vario e piacevole quest’ultimo, quanto è piatto, ripetitivo, vagamente alienante il primo. Il campo pratica è però anche il regno delle persone serie, che, leopardianamente, sanno di potere poco contro il male fondamentale del mondo e tuttavia intignano. Perché lì si tira e ritira e ritira, si può sbagliare in pace, provare, correggere, risbagliare. Le palline si prendono a secchiate, e una vale una perché ne avrai sempre un’altra da tirare.

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Quando un maestro molto bravo vide un suo allievo prendere davvero bene un colpo gli disse “bravo, mo’ tirane’n mijone” (a Roma, dove Draghi ha la base golfistica, i maestri di golf originano tutti dall’asse Alberone/Quarto Miglio/Quadraro e parlano con buon accento romano) per dire che prima di potersi davvero avventurare nel campo da golf con qualche aspettativa di successo bisogna farsi venire i calli in campo pratica. Draghi usa una sacca da portare a spalla, piccola, con pochi bastoni. I vestiti sembrano quelli smessi da altre attività, come da vecchia scuola. La sua terza via golfistica assomiglia più alla strategia proposta nell’intervento sul Financial Times che alla ruvida durezza e alla necessità inderogabile del discorso salva-euro del 2012, anche se di entrambe le occasioni ha il realismo e la tenacia. E il golf, se non si è Trump e si accettano errori e regole, è un ottimo modo per apprendere l’uno e l’altra.

 

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